Domenighini e la Francia in «Petite Anthologie»

I lirici francesi di quando ancora il mondo era tutto intero, i poeti delle primavere vagabondate in soli ormai lontani, i versi delle struggenti giovinezze insepolte li ritroviamo qui, in questa attenta selezione curata dal bresciano Luciano Domenighini e intitolata «Petite Anthologie» (edizioni TraccePerLaMeta, 182 pagine, 12 euro). La grande poesia francese, da François Villon a Francis Jammes, c’è tutta, restituita in un italiano fresco da un artista e intellettuale a tutto tondo.Nato a Malegno nel 1952, Domenighini coltiva da sempre con passione e competenza non solo la scrittura, ma anche la traduzione e la critica letteraria di autori italiani e stranieri, dai grandi del passato ai più modesti verseggiatori incontrati nel corso della sua carriera. Dotato di una solida e articolata preparazione metrica, retorica e stilistica, ha pubblicato nel 2004 la silloge «Liriche esemplari», ricevendo poi diversi premi a concorsi letterari nazionali. E a rendere onore al merito argutamente depositato in queste pagine è nella prefazione il francesista Mario Pietro Zani, secondo il quale «il senso di una traduzione come questa è nella passione che anima l’autore, nel fatto che egli ha amato questi poeti e non ha potuto fare a meno di riscriverli lui stesso, di entrare – in un certo senso – nella loro pelle e rifare a modo suo ciò che essi hanno fatto». Domenighini ha alle spalle una lunga frequentazione di libretti d’opere liriche celebri, come «Carmen», «Sansone et Dalila», «Manon», «Pelléas et Mélisande>. Riavvicinatosi ai poeti maledetti negli ultimi anni, «deluso da molte traduzioni – come osserva Zani – ha voluto provare lui stesso a rendere in italiano alcuni degli scritti di Verlaine, Baudelaire, Mallarmè, Apollinaire, Rimbaud, Laforgue, Jammes, Desbordes». E in appendice il curatore trova lo spazio per inserire una chicca: la traduzione di tre dei dodici, semisconosciuti, «Sonnets Cisalpins» di Gabriele dAnnunzio.F.MA.

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Petite Anthologie
Piccola Antologia di poesia francese: Da Villon a Jammes

Collana Arancione – Antologie
Luciano Domenighini

27.3.2015, 182 p., brossura
Curatore: Emanuele Marcuccio
Prefazione: Mario Pietro Zani
Postfazione: Giordano Tedoldi
Nota Critica Di Quarta: Aldo Occhipinti

ISBN 978-88-98643-35-6

TraccePerLaMeta Edizioni

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Valeriano Dalzini - Vibrazioni Cromatiche

Nell’ambito della critica letteraria, raramente avviene che il critico si possa concedere una lacrima di commozione e riconoscenza, perché la lettura professionale di un testo impone l’esercizio della lucidità e la messa tra parentesi delle emozioni personali.
Quando però ci si trova di fronte al racconto di una vita così densa di sofferenze e nel contempo così vibrante di gioia e di gratitudine per l’esistenza stessa, pur con tutte le sue storture e a volte i suoi orrori, commuoversi e lasciarsi trascinare dalla forza interiore e dalla bellezza di un’anima diventa un dovere. Verso se stessi innanzi tutto, poiché si comprende che dalla narrazione che si sta analizzando si sta ricevendo un insegnamento che vale più di qualsiasi titolo, anche accademico, con il dovuto rispetto verso una dimensione aulica che è comunque necessaria e imprescindibile per l’esercizio di questa attività.
E’ dunque con profonda partecipazione dell’anima che ci deve accostare a questo breve ma densissimo testo di narrativa, ascrivibile al genere biografico, a opera di Anna Maria Folchini Stabile e di Annamaria Stroppiana Dalzini, per i tipi di TraccePerlaMeta Edizioni (2013).
L’opera ricostruisce la vicenda umana e artistica di Valeriano Dalzini, pittore e restauratore milanese di origini mantovane, che ebbe la mala ventura di far parte del novero di quei bimbi nati da famiglie italiane trasferitesi in Libia al tempo delle sciagurate imprese di conquista mussoliniane.
Questi piccoli vennero sottratti alle famiglie per sette lunghi anni, con il pretesto di portarli in vacanza in Italia, dove avrebbero ricevuto un’educazione fascista improntata all’addestramento di tipo militare.
Era il giugno del 1940, e dodicimila tra bambini e bambine vennero coinvolti nelle tragedie della Seconda Guerra Mondiale: quando il conflitto ebbe inizio, invece di essere riconsegnati ai loro genitori in Tripolitania, rimasero in Italia, costretti a vivere di stenti e di carità, perché nessuno si prese cura di loro.
Fu solo grazie all’intervento della Chiesa se poterono salvarsi e sopravvivere, sia fisicamente sia psicologicamente e, nel tempo, tornare alle loro famiglie.
La particolarità di questo libro è, dal punto vista compositivo, la duplicità della narrazione: la prima parte, scritta da Annamaria Stroppiana Dalzini, è volutamente allegorica e alleggerita del peso insopportabile del dolore e della solitudine patita dal protagonista; consiste in una favola deliziosa che permette di far comprendere ai bambini di oggi che cosa hanno dovuto subire i loro coetanei di un tempo.
La seconda parte è una narrazione di tipo storico, ma condotta attraverso il filtro del dialogo tra Anna Maria Folchini Stabile e il protagonista della vicenda, Valeriano Dalzini, che si racconta, o meglio, data la sua estrema e pudica riservatezza, si lascia raccontare.
In entrambe le versioni del racconto, quella destinata ai più piccoli e quella per le menti mature, emergono le parole-chiave che esprimono l’orrore e il degrado umano generato dalla guerra.
Fame, fame e poi ancora fame.
Quanta fame ha provato il piccolo Valeriano.
E poi freddo. Tanto freddo, perché i vestiti erano cenci e le scarpe non c’erano.
E dopo queste atroci immagini di miseria, dalle pagine che si susseguono in una fluidità sapiente ecco emergere un lessema che la disumanizzazione indotta dal regime e dal sangue che scorreva in quegli anni lontani non è riuscita a cancellare: il talento.
Quella peculiarità che ciascuno possiede e che lo caratterizza, in maniera indelebile.
Il talento di Valeriano è indiscutibilmente la capacità artistica, che ne farà uno dei più grandi restauratori italiani; ma i doni della sua personalità sono così tanti che è difficile elencarli.
Egli dichiara che per sopravvivere a quanto gli è accaduto nell’infanzia si è aggrappato a due dimensioni: alla fede e all’arte.
E da quest’arte così limpida e nitida nel tratto, così abile nello spaziare dalla raffigurazione corporea classica all’astrattismo e così ben calibrata nelle forme e nei colori, emerge il ricchissimo mondo delle emozioni taciute per anni e fatte riemergere in una grazia composta che diviene inno alla vita.
La fede di Valeriano è semplicemente esemplare: fede in se stesso e nelle proprie passioni, attraversando la povertà con un decoro inimmaginabile, che gli procura la stima di docenti ed esperti; fede nella vita, che rispetta e celebra continuamente, con un’arte che trasmette serenità e armonia; e fede in quel Dio invisibile che è presente negli uomini e in particolare negli ultimi, a cui mai questo grandissimo uomo ha fatto mancare l’aiuto, divenendo accompagnatore umile e silenzioso ma sempre sorridente degli infermi pellegrini di Lourdes.
Altre bellezze di quest’anima è giusto tacerle, per lasciare al lettore il piacere di scoprirle e d’incontrare tra le righe anche il nucleo familiare di Valeriano oggi: la sua straordinaria consorte Annamaria e i due figli esemplari Laura e Stefano.
Questo libro è pienamente degno di figurare tra le letture scolastiche e formative di ogni ordine e grado; contiene insegnamenti morali mai come oggi indispensabili sia a chi si affaccia alla vita e ha bisogno di una guida, sia a chi è maturo e spesso cede allo sconforto per le contraddizioni dell’epoca in cui viviamo.
Tante sono le lezioni che ci offre il Maestro Valeriano, oggi sofferente e ottuagenario, ma sempre appassionato del mondo come un ragazzo: tra queste, la fiducia nella sostanziale bontà della vita e l’invito a non competere mai con gli altri, e a desiderare sempre e incessantemente d’imparare e di coltivare il coraggio e l’umiltà di cambiare per migliorare noi stessi.

Brescia, 7 Dicembre 2014

Ilaria Celestini

Valeriano Dalzini. Vibrazioni Cromatiche.
Dalla favola alla realtà

Collana Oltremare – Narrativa
Anna Maria Folchini Stabile
Annamaria Stroppiana Dalzini

24 aprile 2013, 114 p., brossura
ISBN 978-88-907190-3-5

TraccePerLaMeta Edizioni

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E’ un atto di coraggio, di soccorso, di difesa, prima ancora che una silloge poetica la recente raccolta di Ilaria Celestini “Memorie intrusive”.

L’argomento trattato, l’abuso a sfondo sessuale, è insolito per un’opera di poesia e questo non tanto perché i poeti non affrontino, di tanto in tanto, qualche argomento scabroso e “scomodo” che si discosta dal repertorio da loro più frequentato, quanto perché i poeti tendono a trattare i temi prescelti partendo da un punto di vista egocentrico, centripeto, ponendo se stessi e il proprio vissuto al centro del mondo o, se vogliamo, al centro del problema.

Anche se uno spunto autobiografico compare, tuttavia, in quest’opera la prospettiva è estensiva, altruistica, universalizzante.

Ilaria Celestini cover libroLa poetessa, più che dolersi di una condizione propria ed esclusiva, enfatizzandola, sembra voler dar voce al dolore di chi voce non ha più, divenendo testimone e apostolo di una religione che tutela le ragioni e i diritti di ogni vittima della violenza.

I mezzi letterari impiegati sono semplici assai:

si tratta di una prosa lirica “frammentata” in versi in modo spontaneo, istintivo e quasi casuale, senza preordinamenti strutturali di ordine retorico o metrico.

Nondimeno il dettato poetico ha grande limpidezza, spiccata valenza comunicativa e se a tratti cede all’enfasi sentimentale, procede costantemente sull’ala di una sensibilità, di una misura, di un gusto tutt’altro che ordinari.

Queste qualità di equilibrio e di grazia, d’altra parte, sono necessarie e irrinunciabili in quanto l’autrice, trattando il tema dell’abuso e, per esteso, di ogni forma di prevaricazione, condizione che si riduce sempre a una dinamica diretta, interpersonale, pone l’argomento, non già come ci si aspetterebbe, sempre in un aprioristico e deliberato atteggiamento di condanna e di deplorazione, ma, dimostrando grande coraggio e intelligenza, affrontandolo talora ( v. “Ci sono giorni”, “Finiscimi” oppure “Fino alla disperazione”) in un’ottica “borderline”, lungo quella linea di confine, ambigua e misteriosa, che sta tra vitalismo e incoscienza, affidamento e dipendenza, bisogno affettivo e degradazione, scelta, più o meno conscia, e destino.

Relativismo quindi? E quindi “comprensione”, “giustificazione” della violenza, come componente inevitabile della natura umana, come “mistero naturale” immanente e necessario?

No certo, perché a fare da spartiacque fra libertà e crimine, fra sessualità e abominio, Ilaria pone, sacro e irrinunciabile, riservato non solo all’infanzia ma a tutte le età della vita, il concetto di un amore integrale, generoso, inteso soprattutto come tutela della dignità della persona amata.

Quest’opera quindi non è solo un commosso e solidale tributo a tutte le vittime di ogni tipo di sopraffazione ma lo spirito che la sostiene e la alimenta è principalmente e profondamente etico invocando quel “buon senso” che fra tutti i sensi umani, se non appare come il più esaltante sovente risulta , in definitiva, quello più opportuno e prezioso.

Alla delicatezza eufemizzante, tutta femminile, talora floreale, talaltra sognante, che contrassegna la strofa conclusiva di alcune di queste liriche (v. “Questo cielo sommerso”, “Nascerà”, “Addio piccolo sogno”), alla sincera commozione e alla empatica condivisione del dolore, sovente si affiancano il coraggio e la speranza di riscatto e di rinascita, metafora della vita che non vuole finire, che non vuole arrendersi, che non vuole nascondersi e annullarsi nella vergogna e nella sconfitta.

I trenta titoli di questa raccolta sono in realtà un’unica, ininterrotta lirica, un discorso continuo sul bisogno d’amore, sulla sua forza ineluttabile, sui suoi martirii e sulle sue catarsi e trovano forse la loro sintesi e la loro realizzazione poetica più compiute nelle tre terzine, intense e struggenti, de’ “I miei ricordi”.

“Memorie intrusive”, questa a un tempo disinibita e serena elegia dell’innocenza tradita, al di là del suo valore strettamente letterario, è un’opera carica di tensione interiore, vera, autentica, che tocca il cuore.

Travagliato, 9 giugno 2014

Luciano Domenighini

Memorie intrusive

Collana Indaco – Poesia
Ilaria Celestini

27.1.2014, 60 p., brossura
ISBN 978-88-98643-11-0

TraccePerLaMeta Edizioni

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La poesia, di Sandra Carresi,  dal titolo: I Cristalli dell’alba, esalta  tematiche notevolmente universali, con una varietà che spazia, in maniera metodica, così laboriosa, dal sociale ai ricordi importanti d’infanzia. Invero, s’impone all’attenzione del pubblico con una caratteristica assai particolare che la distingue con una poetica dinamica, in qualità di attenta osservatrice di luoghi, borghi, contrade; soffermandosi con carattere assai tenace sugli accadimenti di taluni eventi e orrori nel mondo. Dunque, una poesia in linea con i tempi moderni, con i suoi crudeli malesseri,  come afferma in questa poesia Tempi Feroci: “Feroci questi tempi/di sangue e di sale/di gelosie e vendette./Calici amari le cui bocche si apprestano a bere lacrime che non usciranno mai (…). pag. 16.

Ai nostri giorni, i tempi feroci, sono davvero folli per l’ineluttabile drammaticità,  con avvenimenti che quando si presentano, nella loro nuda crudeltà, ci fanno sentire basiti da tanta incredibile malvagità; esattamente come ci spiega, la poetessa, citando il fenomeno “femminicidio”, in La follia omicida dell’Oggi: “Lascerò leccare le tue ferite/ ai miei cani, se le avrai./ Io, non lo posso fare./Potrò forse, un giorno perdonare,/ma tu, dovrai pagare tutto, fino in fondo./Lo devi al Mondo.” pag. 30.

La poesia, di Sandra, sostanzialmente, risulta efficace e intensa nei particolari così minuziosi  anche quando incalza, con tono sommesso. Invero, versi mordenti, pregni di forte disappunto, sanno scuotere menti e coscienze, come recita scrupolosa la poesia Onestà: “A quell’Italia che muore di vita e di ogni serenità./A quell’Italia onesta e lavoratrice/ che subisce strozzata da tante tasse e burocrazia./ A quell’Italia che va via, non viaggia si ammazza./A quell’Italia umiliata in quel teatro di vita./ (…)”. pag. 21/22. Una lirica, fin troppo generosa, improntata su di una visione reale del nostro paese.

La lettura del libro di Sandra Carresi,  in concreto, risulta abbastanza piacevole, si coglie altresì il senso chiaro così specifico nella diversità di taluni versi, forgiati con una carica di essenza, pregna di energico magnetismo, assai particolare. A mio dire, una ricchezza di pensiero che le appartiene naturale, in fatto di linguaggio, come si può dedurre esplicitamente in: Le miserie di cuore, matrice di una visione personale fin troppo realistica, una bravura che spazia convinta sui temi sociali, in cui sostiene, con grinta: “Le miserie di cuore rendono schiavo l’Uomo/del denaro e del potere/in un secolo gonfio di valori/sbattuti a terra come falsi pudori./ Periodo storico di menti sapienti/creatrici di  numeri pronte  a partorire tasse/ (…)” pag. 80.

Da una minuziosa analisi, si spiega meglio il suo linguaggio aperto e l’uso di una dialettica affinata con sottile arguzia, senza  ricerca evidente della parola per poter esprimere in versi tutto ciò che osserva e che vive con intensa emozione. Ella, riesce a descrivere, con passione e bontà d‘animo gioie, dolori, e altrettanti pezzi di viva memoria che vengono riportati alla luce con una precisa tecnica poetica assai distinta. Tuttavia, nella sua  minuziosa visione, non risparmia versi forti, esprimendo finanche un soffuso orrore per un mondo che non migliora. E’ il caso di citare un’altra lirica, ricca di notevole significato, che  avvalora ogni mia considerazione innanzi espressa, in:  La Passione del Mondo: “E’ nel cuore che la pena aumenta./E’ nella mente che come lama serpeggia./Oggi, è Lei che indietreggia, Lei la passione di sempre/teme il crollo delle genti/che ha mescolato valori in confusioni./ Impoverita e stretta nei cuori di chi/ cura gli interessi personali./ (…)./Passione, motore e crescita di ogni valore. (pag. 75).

E’ in realtà un’accorata poesia che riesce a incarnare, in un inno armonico, così glorioso, talune passioni che un tempo furono, non soltanto l’orgoglio, ma l’emblema degli uomini  audaci, che seppero coltivare eroiche speranze assieme ai loro sogni.

Ma, lo sguardo dell’autrice, costantemente armonioso,  è spesso orientato, con incredibile curiosità, verso suggestivi borghi di città con le sue caratteristiche contrade. Cito volentieri, di buon grado, un’altra bella poesia dal titolo: Il Borgo “Tappeto verde e culla degli ulivi/là, nella campagna Toscana/dove si respira il profumo del mare./Se s’alza il vento, ti porta lontano,/se splende il sole, ti puoi spogliare (…).” pag. 71. Ebbene, la poetessa ama  girare per le strade e i borghi, a curiosare, come ci spiega in questi versi dal titolo: Piazze e Bancarelle “Giro fra bancarelle/sotto il sole cocente/di agosto./Fra cianfrusaglie e chincaglieria,/ognuno mostra la propria mercanzia./Volti accaldati, sudati e sorridenti in quella piazza gremita di genti. (…).” pag. 52.

Senza dubbio, Sandra Carresi, conserva intatta una genuina freschezza di recepire, in maniera visiva, determinati paesaggi rischiarati, al mattino, dal tiepido raggio di sole.  Basti citare Il ventaglio in cui afferma:”(…) Lo vedo dai vetri, specchi su cui riflette il sole./Pini altissimi, li ho di fronte, e come un ventaglio le cui stecche si abbracciano, cos’, anche loro da destra a sinistra, spolverano il cielo (…).” pag.18.

I versi sono plasmati da una segreta scintilla di forte empatia. E, quando leggi, sei presa sull’essenzialità sostanziale dei contenuti, ricchi di suggestiva umanità e profonda sensibilità in altre poesie, pregne di  bellezza interiore  e altrettanta generosità. Pertanto, cito volentieri: Vorrei, E’ quel tempo, Ti racconto di te, Zia Tosca, L’alba e tu, Non avere il coraggio, Mani lunghe e magre.  

Attraverso i versi, i ricordi della poetessa divengono  preziose immagini che sembrano ritornare alla realtà in punta di piedi, come in un’immediata, limpida, visione in Ricordi e sapori lontani: “Ricordi e sapori lontani,/là, in quella piazza a ferro di cavallo/in quel di Barberino di Mugello. Piazza Cavour, tanti alberi, poche macchine, (…)”. pag. 65. Nella raccolta di poesia, di Sandra, si può meglio comprendere il suo costante lavoro poetico, dosato con meticolosa metodicità; pure quando enuncia in versi l’improvviso risveglio di taluni vivi ricordi, in cui ella si apre per raccontarci storie vissute, in: Buon Natale! “Buon Natale a tutti voi che porto nel cuore./A voi tutti che siete da sempre/le mie radici e i miei ricordi. (…)” pag. 76.

Sandra Carresi, nei suoi versi, racconta  o meglio ci racconta, parlando sovente di amore, di passioni vissute che sembrano far capolino attraverso la caparbia nostalgia, stuzzicando compiaciuta la bellezza della sua fantasia. Versi veraci e belli, come ci narra quest’altra poesia, Il regalo in cui afferma:”Ti regalo quel raggio di sole che fa capolino/nel fresco mattino./Non lo lasciare in strada, catturalo e mettilo in tasca./ Lo dovrai liberare la sera, quando ogni luce sarà fredda. (…)”. pag. 58.

I  versi, tuttavia, sanno dare costantemente l’idea della precarietà di un tempo che fugge e l’impossibilità vera di catturare un raggio di sole, per trattenerne l’inspiegabile bellezza di luce che  rapisce e  avvolge l’anima verso uno spazio infinito. Infatti, così ci spiega nella poesia Oceano, in cui afferma: “Mentre le spighe regalano l’oro alla terra/ i tuoi occhi fanno dell’Oceano un mare in tempesta (…)”. pag. 57.

L’Autrice di questo libro, infine, s’impone al pubblico, con una poetica inestimabile ricca di diversità in fatto di contenuti sociali e spirituali. Dunque, versi forti, alquanto incisivi. La sua visione, di acuta osservatrice, viene fuori attraverso determinati versi, anche nella poesia dal titolo: Acqua.  A mio parere, versi fluidi e scorrevoli, ricchi di  omogeneità di pensieri, che esaltano verità inconfutabili; peraltro accompagnati da un senso di sottile preoccupazione, che rimane chiusa in talune liriche come questa, quando afferma con accorata voce: “Piove forte/ a scroscio, si ferma, riprende./ E’ caldo e umido questo Novembre/strano e modificato./ Scruto l’Arno. Ha aspetto sinistro/ in queste giornate Tropicali, sembra un bosco disteso, addormentato forse … abbandonato./Respiro forte, rumore e odore nauseante, di macchine, poi …, terra bagnata e violata/in questo letto di fango che scivola via/verso chissà quale disastro in questo Mondo complicato”. (pag. 68/69).

In sintesi, non sbaglierei, dicendo che la sua visione del mondo sembra essere il  punto cardine, vero, attorno al quale incentra una poetica assai profonda e significativa, altresì incisiva. Versi temprati da un pensiero energico, costantemente levigato come goccia di pioggia insistente che cade sulla dura roccia. Dunque, versi impegnati che si riconoscono, sin da subito, per passione, dedizione e forte amore.

Sandra Carresi, ha finalmente raggiunto la giusta maturità espressiva in questa pregiata silloge poetica: I cristalli dell’alba, che ho più volte letto con rigoroso riguardo e delizia, rimanendo affascinata dai suoi piacevoli versi  e dal modo di come dice le cose che vede. Ella  riesce a esprimere concetti con una gentilezza d’animo che sembra correre sul filo dell’armonia universale; talora in maniera spedita, ma spesso in punta di piedi, regalando al lettore, che desidera davvero conoscerla, momenti intensi di piena espressività. E’ una voce poetica assai audace che spazia in un mondo reale e riesce ad imporsi con istintiva naturalezza alla preziosa attenzione di taluni noti  critici, nonchè del pubblico, sempre più numeroso, appassionato di bella, vera, poesia.

Novara, lì 21.06.2014

Anna Scarpetta

I cristalli dell’alba

Collana Indaco – Poesia
Sandra Carresi

25.3.2014, 100 p., brossura
Curatore Spurio Lorenzo
ISBN 978-88-98643-16-5

TraccePerLaMeta Edizioni

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Leggendo quest’ultima opera poetica di Sandra CarresiI cristalli dell’alba (TraccePerLaMeta Edizioni, 2014), si ha la percezione di una semplicità cristallina, a cui già prelude intenzionalmente e allusivamente il titolo, che si accompagna a una non comune complessità.

Nella raccolta, che consta di una cinquantina di componimenti, si mescolano sapientemente toni elegiaci, in cui l’autrice rievoca scene quotidiane di piazze dove un tempo si poteva conversare amabilmente e paesaggi che fanno da sfondo all’amore insieme passionale e colmo di commossa tenerezza, ai registri linguistici più forti dello sdegno contro le umane ingiustizie, contro i piccoli e grandi soprusi di ogni giorno, e soprattutto contro la violenza gratuita e assurda che si accanisce contro le vittime innocenti, e in quanto tale non è accettabile né in alcun modo ignorabile.

Così la poetessa raccoglie ed esprime il grido della giovane donna massacrata da chi un giorno giurava di amarla, la rabbia di chi si sente derubato nei propri diritti da chi sarebbe invece preposto a tutelarli, come i “cacciatori di poltrone” che con la sua garbata ma potente ironia stigmatizza.

Le pagine scorrono veloci, è un testo semplice, ma solo in apparenza; perché all’occhio del lettore esperto non sfugge la bellezza delle rime studiate in maniera giocosa, ma raffinata; o l’accorgimento, che ricorre puntualmente, così da configurarsi come un vero e proprio stilema della raccolta di liriche, della punteggiatura disposta in modo da creare l’effetto di pause del discorso parlato.

Ed è nella capacità di parlare a se stessa così come a chi non c’è più, a chi avrebbe molto da dire e a chi ha taciuto troppo, che si rivela la preziosità nascosta dietro il velame dell’eloquio fatto di parole quotidiane e comuni, ma ben lontane dalla banalità.

L’autrice ha il dono di quella che in psicoanalisi si potrebbe definire “personalità strutturata”: sul piano letterario e umano, questo significa la capacità di abbracciare ed esprimere i molteplici livelli dell’esistenza: l’amore adulto, che si dona e che sa gustare fino in fondo le gioie della vita; la consapevolezza della fugacità del tempo e delle terrene illusioni; la dolcezza dei ricordi di famiglia; il rispetto e lo stupore, per le bellezze della natura e del proprio ambiente; l’emozione per i piccoli gesti, per i colori, i sapori, e al tempo stesso, la capacità di manifestare, sempre, la solidarietà con chi è stato schiacciato dalla crudeltà insensata dell’uomo, e la dolorosa coscienza che ci sono limiti oltre i quali si entra nella tragedia, di fronte alla quale non è possibile, sul piano umano, un perdono.

Il riferimento agli orrori del nazismo rappresenta il culmine dell’arte dell’autrice, poetessa e donna di specchiata onestà intellettuale e dai valori cristiani profondi, radicati, vissuti; valori che non vengono meno di fronte al crimine per antonomasia contro l’umanità, ma che divengono condanna, per sempre, del male assoluto e di chi lo commise, che non potrà e non dovrà trovare mai, in alcun modo, giustificazione od oblio.

Lo stesso vale, sul piano umile della quotidianità, per le piccole e grandi violenze di comune criminalità, certamente infinitamente meno grave, e incommensurabile, rispetto alle tragedie della storia, ma non per questo accettabile supinamente, nel nome di un ipocrita buonismo.

Tutti coloro che violano la dignità di una persona, a qualunque livello, sono per la poetessa, da  esecrare, nella negatività dei loro gesti, come chi profana la nostra casa, la nostra intimità, o il nostro legittimo diritto a essere tutelati e non oppressi.

Non è facile manifestare la rabbia di fronte alle ingiustizie, e Sandra Carresi riesce a farlo con grazia, con l’eleganza di chi non esprime rancore, ma semplicemente, non si rassegna.

E’ una raccolta che vibra di vita, dolce come le luci dell’alba e profonda come la notte che fa da cornice all’amore; che sa parlare dell’universo e al tempo stesso è radicata nei momenti conviviali e di amichevole intimità.

Ed è soprattutto un inno, un inno alla vita, nella molteplicità delle sue sfumature, tratteggiate con uno sguardo sereno, attento, partecipe, profondamente sincero, consapevole del dolore e della fragilità della condizione dell’uomo, e insieme colmo di tenerezza e di bene.

ILARIA CELESTINI

Brescia, 15.04.2014

I cristalli dell’alba

Collana Indaco – Poesia
Sandra Carresi

25.3.2014, 100 p., brossura
Curatore Spurio Lorenzo
ISBN 978-88-98643-16-5

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Uomini e processi in dodici storie

Recensione di Paolo Pinnelli pubblicata su “La Gazzetta del Mezzogiorno” del 24 aprile 2014.

Recensione di Paolo Pinnelli Dodici Storie

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Dodici storie

Collana Avorio – Saggistica
Giuseppe Palumbo

4.4.2014, 178 p., brossura
Curatore Spurio Lorenzo
ISBN 978-88-98643-14-1

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126_i_cristalli_dell_alba_900La poetessa e scrittrice Sandra Carresi ritorna ai lettori con la nuova silloge I cristalli dell’alba, del marzo 2014 per la Collana Indaco-Poesia di TraccePerLaMeta Edizioni. Il titolo della silloge poetica è già di per sé un inno alla luce e alla purezza. Il cristallo è un minerale naturale e trasparente, simbolo di purificazione, da esso s’irradiano fasci di energia luminosa; l’alba è il simbolo del nuovo giorno e del risveglio interiore, le ombre della notte si diradano e riappare quel momento affascinante e magico in cui avanza il chiarore che illumina il nostro animo e la nostra volontà.

La poetica di Sandra Carresi tocca nel vivo temi importanti quale la vita, l’amore e il dolore. I suoi versi percorrono stati d’animo reali che appartengono a tutti. Immagini semplici ma di forte impatto emotivo esprimono il progressivo indebolirsi di certezze del mondo potente e debole a un tempo; con grande equilibrio la poetessa affronta dolorose note attuali, prima fra tutte lo sgretolamento di valoridel mondo contemporaneo “[…] in un secolo gonfio di valori/sbattuti in terra come falsi pudori[.]” e misura una distanza tra un passato e un presente mentre nel suo cuore il tempo non muta   “Provocante e raffinato/questo rincorrere/del tempo/che alla fine poi [,] /rimane intrecciato nelle/pieghe del mio sorriso [,] /mutando il corpo [,] / ma [,]restando fermo/ in quel gioco sottile/dell’antico temperamento [.]”

Ogni poesia riconduce a un preciso codice etico che permette alla poetessa di approdare su aspetti di disagio, episodi di violenza, condizioni di povertà e necessità di maggiore giustizia; la poetessa delinea il nostro presente con significato connotativo “Feroci questi tempi/di sangue e di sale/di gelosie e vendette” che infettano e contagiano la nostra società, viziando l’aria e la luce del nostro paese.  Immagini inattese rappresentano il mondo interiore, in alcune strofe ritroviamo delicatezza di toni, in altre una pungente nostalgia.Sandra Carresi con la sua poesia supera il soggettivismo e si pone in comunione con la natura che le si apre allo sguardo come un “ventaglio”, unisce il suo cuore al cuore di ognuno. Con particolare espressività di termini sottolinea l’onestà, la dignità e l’umiltà, poiché senza di esse non può esserci la gioia che incanala le nostre energie naturali.

Il suo stile è semplice, ritmico, predilige strofe brevi che creano una trama d’infinite suggestioni ed emozioni, ne risulta un verso che diviene quasi un salmo, una preghiera, un inno alla vita.

Sandra Carresi utilizza una costruzione del verso con una particolare attenzione alla musicalità e al ritmo, una poesia dunque, che chiede di essere ascoltata e non solo letta. Anafore ricorrenti nelle diverse strofe e parole ripetute con lettera maiuscola quali Mondo, Vita e Terra, concedono ritmo incalzante e martellante, quasi a ribadire tra i versi elementi e concetti di richiamo.

In una sinestesia visiva, la poetessa geme con coloro che piangono e allo stesso tempo canta la gioia e la grida. Le sue parole incitano a ritrovare l’amore condiviso, a “[…] conservarne memoria/nella grotta della vita.” per riscoprire “[…] il sapore antico/del passato […]”.

Sandra Carresi con la sua silloge I cristalli dell’alba protende lo sguardo lontano, squarcia il silenzio, oltrepassa il filtro di ogni barriera debilitante, esce dall’ombra e si affida alla luce della rinascita, della speranza certa di ogni nuova alba. I suoi cristalli calmano i sensi, scaldano i nostri cuori e ci stimolano a non sentirci più atomi isolati bensì parte di un grande universo d’amore “La speranza unisce l’anima/ e la fame di cuore/fa di ogni burrasca/cristalli, da disegnare nel tempo”.

I cristalli dell’alba di Sandra Carresi è un testo letterario polisemico che può essere interpretato in più modi, tuttavia, le poesie ivi contenute richiamano moltissimo la poetica dannunziana, laddove una realtà difficile e dolorosa vela la luminosa bellezza di ogni anima.

SUSANNA POLIMANTI

Cupra Marittima 10.04.2014

I cristalli dell’alba

Collana Indaco – Poesia
Sandra Carresi

25.3.2014, 100 p., brossura
Curatore Spurio Lorenzo
ISBN 978-88-98643-16-5

TraccePerLaMeta Edizioni

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Memorie intrusive

Collana Indaco – Poesia
Ilaria Celestini

27.1.2014, 60 p., brossura
Curatore Spurio Lorenzo
ISBN 978-88-98643-11-0

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“Memorie intrusive“. Quando prendo un libro tra le mani, mi soffermo molto sulla copertina e sul titolo: ebbene questi due elementi mi hanno profondamente colpita nel testo di Ilaria e mi sembrano assolutamente incisivi ed adatti a rappresentare dall’esterno il contenuto della silloge, che si presenta come denuncia sociale, sacrosanta, del male che può colpire, e colpisce, più di frequente di quanto si pensi, la dignità della donna.

Ilaria con libro Memorie intrusive_001_FBLa donna appena evocata nell’immagine è quasi evanescente, fantasma della sua stessa memoria, ma i fiori che la circondano aprono “una maglia nella rete che la stringe” e fanno sperare in una rinascita pur nell’inferno che l’attraversa. Lo stesso effetto si ricava dal color indaco che domina la copertina: insomma un senso di pacificazione è possibile pur nel tormento.

La silloge ruota sostanzialmente intorno alla tematica del corpo violato soprattutto durante l’infanzia, violenza che sta sempre nella memoria, incancellabile oramai, una memoria per l’appunto “intrusiva”, che è quindi nemica del soggetto coinvolto, che vede il suo ricordo come un intruso che turba il presente, rendendolo invivibile.
Credo che non vi sia titolo più azzeccato per esprimere l’intrusività della memoria sgradevole , che entra dentro di noi, a prescindere dalla nostra volontà, anzi contro di questa stessa. Come spiega il padre della psicoanalisi Sigmund Freud, è proprio la memoria infelice quella più presente nel nostro immaginario, essa diventa quel fantasma di cui impossibile è liberarsi, perché così funziona la mente: ricorda in primis lo sgradevole e a nulla valgono i meccanismi di difesa.
Essi si rivelano impotenti nel processo di rimozione; quando una violenza è stata perpetrata soprattutto nell’infanzia essa resta come ferita che non si rimargina, né si cicatrizza, ma resta sempre aperta nella memoria che riaffiora imponente proprio quando ci sembra di averla sconfitta.
La poesia di Ilaria Celestini, poetessa professionista e pluripremiata, per quanto di altissimo livello, nulla può contro la violenza subita; questa consapevolezza è implicita nella silloge che non può cambiare la realtà, eppur tuttavia profondamente utile, perché si fa dura denuncia dell’accaduto e monito a che la donna non subisca più un destino così infame. Quindi, come nelle altre operazioni culturali di Ilaria, forte e pregnante è il senso di solidarietà e di compartecipazione al dolore in un’opera impegnata e profondamente degna. Credo che la poetessa abbia subito sulla propria pelle qualcosa di grave, ma la poesia si fa denuncia universale dando voce alle donne costrette al silenzio e alla segregazione.
La silloge si snoda in tre tempi: il passato che viene rievocato in un flusso di coscienza, priva di segni di interpunzione, per esprimere il fluire del ricordo e la sua intrusività; il presente che si impregna del ricordo stesso ed è tutt’uno con esso, perché con esso fuso; il futuro in cui si matura la speranza che il passato non torni e che si possa trovare una tregua dal dolore. Pur nella nera disperazione, infatti, si apre il varco alla speranza, come nella lirica “fili di seta”, in cui ritorna l’amore con delicatezza raffinata e luci rarefatte davanti al mistero. Questo lo trovo stupendamente positivo: la capacità di commuoversi ancora e ancora amare tra fili di feta e “baluginii di sogno”in un procedimento alla Montale, non a caso citato dalla poetessa. Anche dentro il male di vivere risplende, seppur pallida, la speranza nella rinascita, che fa da faro nel buio dell’anima e della carne.
Eppure ciò che la fa da padrone è il dolore antico, di cui Ilaria ci parlerà se sapremo ascoltare senza giudicare; tale richiesta di fare silenzio, esenti da giudizio e condanna, esprime l’atteggiamento della poetessa stessa di fronte alla sua creatura poetica, in cui rappresenta il male senza parole di biasimo nei riguardi del carnefice che si commenta da sé per le nefandezze che compie. Una sospensione del giudizio (apoché) in tali casi è obbligatoria, qualsiasi giudizio censorio sarebbe retorico e orpello letterario.
Qui non si scherza, qui ci troviamo di fronte ad una poesia vera, perché veri quel corpo e quell’anima dilaniati dalla sofferenza, spinta al punto di voler morire per mano dello stesso carnefice: “e allora ti prego abbi pietà/ finiscimi nell’ultimo sussulto/della mia dignità impazzita/lasciami morire…”. Persa la dignità resta la morte come soluzione; ma, altrove, come dicevo, la vita sembra riprendere un senso accettabile: “Sono grata a te/ e all’universo/ per quest’istante/ in cui credo/all’esistenza di un senso“. Talora il dolore ha un tregua, e la vita sembra assumere una configurazione accettabile e perciò la poetessa ringrazia religiosamente l’uomo e l’universo tutto per questa opportunità, rivelando la sua natura di nobile sopportazione del dolore, grecamente intesa. La vita è tragica, ma la nobile sopportazione le conferisce dignità e anche un punto di fuga proiettato nel futuro.
Parole forti quelle del carnefice col suo codice espressivo tipico e verissimo, crudo realismo in questa lirica che attraversa le viscere di chi legge fino al disgusto per l’uomo violento; come in una tragedia greca il carnefice è sulla scena con tutta la sua atroce indifferenza, durezza e spietatezza, inducendo nel lettore “un’identificazione differenziata” per cui noi mai e poi mai vorremmo essere quell’orco così indegnamente uomo. Il tal senso l’opera è catartica, nel senso della tragedia greca, per cui la silloge raggiunge i suoi effetti educativo-terapeutici tenendoci lontani dal quel male da cui vogliamo allontanarci.
Una silloge che consiglio a tutti, giovani e meno giovani, per la denuncia sociale che contiene, per la forza della forma poetica, per il valore profondamente catartico che produce.

Written by Giovanna Albi

Memorie Intrusive
di Ilaria Celestini

27.1.2014, 60 p., brossura
Curatore Spurio Lorenzo
ISBN 978-88-98643-11-0

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Dream Theater  -Tour 2014-Obihall -Firenze 21-01-2014

Tre ore di live che hanno infiammato l’Obihall. Il quintetto americano regala un concerto spettacolare al pubblico fiorentino. Tra passato, presente e futuro. La recensione di Annamaria Pecoraro.

Due atti di pura magia prog- metal, che solo “umili” professionisti come i Dream Theater sanno regalare. Sound elettrico e ritmi incandescenti che scaldano la temperatura dell’Obihall di Firenze. Dopo ben 10 anni, tornano a calcare la scena fiorentina. Il pubblico gradisce e accompagna con la voce i riff lunghissimi di John Myung al basso e John Petrucci alla chitarra.

La classe non è acqua, e con maestria, troviamo alla batteria Mike Mangini, acclamato nell’assolo di “Enigma Machine”. Sarà forse meno scenico del precedente collega Mike Portnoy, ma altrettanto ricco di personalità. La voce di James La Brie, tiene in alto le note e fa volare il tempo, il tutto accentuato dalle tastiere di Jordan Rudess.

Un quintetto di classe che rimbomba con energia in “The Enemy Inside” e “The shattered fortress”. Instancabili in “On the backs of Angels” (premiata con un Grammy Awards) o “The looking Glass”. Insuperabili in “Trial of tears” o “Along for the ride”.

Sembra di vivere un sogno e facile è perdersi nel gioco di luci, nei loro marchingegni sonori, negli arpeggi di tastiera. Ma sono proprio loro, a ricordare la realtà in “Breaking all Illusions”.

Piccoli video sketch, rivelano quanto questo gruppo sia avanti e abbia capito il connubio di essere tra la gente e in mezzo alle esigenze tecnologiche, con ironia. Portando così alla luce sorrisi e mostrano come sono visti “Around the word”.

Eh si, perché i Dream Theatrer celebrano due anniversari, il ventennale di “Awake” e un venticinquesimo di “When Dream and Day Unite”. “The Mirrow”, “Lie”, “Lifting shadows off a dream”, “Scarred”, Space-Dye Vest”, sono solo esempi di quanto la loro musica sia diventata la “Illumination Theory” per molti fan e/o gruppi nascenti. Un elogio alla loro sana follia musicale che ritrova il consenso del pubblico di ogni età.

E poi un salto nel passato con “Ouverture 1928”. Sicuramente un “Strange déjà vu”, che dipinge e fa ballare in “The dance of Eternity”, lasciandoci con una “Finally Free”, e con il loro sound intenso nelle vene, per molto tempo.

Annamaria Pecoraro