Percorsi Di-Versi

DI Catello Di Somma

Ed. Vicolo del Pavone – 2012

Recensione di ANNA MARIA FOLCHINI STABILE
Ho conosciuto il poeta Catello di Somma durante una trasmissione radiofonica di cui entrambi eravamo ospiti, un momento di reading ovvero un incontro in cui i poeti leggono le loro liriche e mettono a nudo la loro anima.
Considerando che potrebbe essere mio figlio – coetaneo dei miei – mi ha da subito positivamente impressionata il fatto che è un uomo giovane e gentilissimo, schivo per quanto riguarda la sua vita professionale di cui accenna appena con compostezza e serietà, ma entusiasta della sua vita familiare e dell’affetto che lo lega a sua moglie e al suo figlio. É un giovane perbene che mi parla della sua poetica, delle sue liriche e di come la poesia sia per lui voce e occasione per testimoniare i sentimenti e le esperienze fatte, il cammino di crecita e di maturazione personale , il legame indissolubile stabilito con la Vita e con la Bellezza.
Due ore sono un tempo brevissimo per conoscere un uomo, peró, al primo impatto, quando le persone si incontrano o si piacciono o si lasciano perdere, perchè non è cosa abituale che un’anziana signora e un giovane uomo che ha l’età dei suoi figli, possano comprendersi letterariamente da subito e immediatamente su cosa sia il senso della vita, nutrendo entrambi rispetto profondo davanti al meraviglioso Mistero che conduce l’esistere di tutti noi.
“Nella poesia non si può essere tra sconosciuti, ma solo tra anime affini” mi scrive nella sua dedica e ne convengo appieno, perchè non appena mi accingo alla lettura attenta e curiosa della sua opera, mi ritrovo in un luogo “altro”, ricco di spunti di riflessione e meditazione; un cammino insolito, ma definito, in cui ogni parola ha significato univoco, forte ed esclusivo teso a definire un percorso umano e personale che abbraccia tutte le donne e tutti gli uomini che il poeta incontra sulla sua strada rivolgendo a ciascuno la sua personale attenzione e il suo verso evangelicamente rispettoso.
Catello Di Somma è proprio il contrario dei poeti maledetti che ammaliano spesso la gioventù con versi provocatori, perchè il poeta Di Somma, anche se non disconosce la verità cruda, l’amarezza profonda, il dolore e i meandri degli oscuri gironi danteschi dell’esistenza umana, riesce a illuminare il degrado con la luce della compassione – la “cum-passio”- e la pena non lo porta ad allontanare lo sguardo, ma a comprendere, quasi come in una meditazione consapevole delle sofferenze del Cristo che tutto carica su di sè e tutti salva.
Le pagine che compongono il libro sono una successione di parole non casuali che si fanno verso prima e poesia dopo, in un ordine non casuale.
L’opera, introdotta da Maria Carmen Matarazzo che sottolinea la capacità di Catello di Somma di “coniugare con intensa partecipazione sogni e realismo, malinconia e gioia” , si divide in tre parti :
– Percorso nel mondo
– Il percorso del poeta
– Percorso nella fede.
In ognuna di esse la domanda di fondo verte sul tema del come si ponga l’essere umano nel suo rapporto con la vita.
Domande antiche e impegnative a cui il Poeta, ancorato agli affetti fondamentali, disposto all’attenzione verso gli ultimi e sensibile alla chiamata a cui ogni uomo, scavando nella sua anima, a suo modo risponde, trova le risposte.
Sotto questa luce si inquadra la lirica ” Matteo”, dedicata al figlioletto in cui il poeta guarda al futuro assillato dalle domande “Chi sarai domani? / Quale passione albergherà nel tuo cuore?/ E chi sarò io/per te domani?… ” e la soluzione pacata e fiduciosa non può essere che una: ” Nell’attesa cresceremo insieme”.
L’uomo che ha l’arma della poesia, non resta indifferente davanti ai dolori del mondo e ne vede sia la disperazione che il deserto delle anime, ma giunto al punto in cui potrebbe limitarsi alla descrizione del fatto, rifugge dalla condanna e si veste di compassione e comprensione ripartendo dalla comune umanità.
Le quattro liriche dedicate ad aspetti della femminilità violata hanno titoli forti: “Aborto” , “Stupro”, “Lucciola triste”, “Qui sotto la pioggia attendo” .
Esse esprimono drammi, ma hanno parole semplici: “…e persi la mia vita /con il figlio che non nacque.”, “Respiro / ma sono morta / quel giorno.”, “Adesso vendo l’unica cosa che possiedo. / In realtà era un tramonto conosciuto”, “Non è questo pianto / che mi può lavare…./ Anche adesso, domani, non ha smesso di piovere”.
Catello Di Somma, lo stesso uomo che si china sui mali del mondo, ha alle spalle un percoso suo di maturazione e di cambiamento che gli permette di guardare tutto con occhi differenti.
È così che nello scorrere dei versi e nella successione delle pagine, sentimenti e atteggiamenti cambiano: ” Siano gli altri ad emettere sentenze / poichè nessuno ti nominó giudice, / nemmeno di te stesso. ” , “Ecco / le nubi incombono / … ma lì, sul fondo, la luce già barluma.”
Alla fine del percorso l’anima del poeta naufragando nell’abbraccio della Fede, ritrova se stessa, tanto che egli potrà dire: “Come un pellegrino / ho bussato ad ogni porta / …finchè un giono / mi sono deciso ad aprire / le porte di una grande casa / scoprendo che era da sempre casa mia”.
Leggere le poesie di Catello Di Somma è, quindi, equivalente a un cammino attraverso la mente e il cuore di un uomo che ” Centellina le parole / come l’acqua della bisaccia / nel deserto…” e può dire con serenità che “Senza fede / avevamo mille domande irrisolte. / Nella fede una sola risposta”.

ANNA MARIA FOLCHINI STABILE

QUESTA RECENSIONE VIENE QUI PUBBLICATA PER GENTILE CONCESSIONE DELL’AUTRICE.
E’ SEVERAMENTE VIETATO DIFFONDERE E/O PUBBLICARE LA PRESENTE RECENSIONE SENZA IL PERMESSO DA PARTE DELL’AUTRICE.

Il nascondiglio dell’anima

di Anna Maria Folchini Stabile

Libreria Editrice Urso (2012)

 

Recensione di Anna Scarpetta

 

“II nascondiglio dell’anima”, è la raccolta di poesie di Anna Maria Folchini Stabile. Una poetessa con uno stile molto raffinato, si nota subito nell’esposizione delle sue belle immagini che, dal suo profondo sentire, lei, riesce a elaborare con straordinaria razionalità e analisi, trascrivendo sulla carta versi emblematici, ricchi di pura bellezza.

Non deve trarre in inganno il titolo, anzi, tutt’altro. Ella, difatti, riesce a tirare fuori dal suo nascondiglio, appunto, l’anima, una poetica molto significativa, di notevole freschezza, con una limpidità di un’acqua cristallina, simile a un piccolo torrente. Difatti, nella poesia: II nascondiglio dell’anima, afferma: “Nascondiglio dell’anima /rifugio del cuore,/oasi nel deserto della quotidianità/bolla/ dove respiro l’ultima boccata d’aria…” (pag.7), sono presente notevoli caratteristiche.

Anna Maria, ci parla di un suo rifugio segreto, da dove attinge, si concentra, rielabora. La memoria è la tematica centrale, prevalentemente, così ricorrente, come il fluire costante dei versi scaturiti dai bei ricordi vivi e nitidi. Invero, la memoria, calda roccia, somigliante ad una fucina accesa, rappresenta, senza dubbio, il punto chiave reale, della raccolta di liriche, così dinamica, piacevole, come risultato finale.

Un vero laboratorio immaginario, aggiungerei, paragonabile, appunto, al nascondiglio dell’anima, dove la poetessa affina il suo verso duttile, arricchito della sua schiva personalità, complessa, ma ricca sempre di nuove belle idee, così straordinarie, in linea coi nostri tempi.

Versi, significativi, che sanno salire pian piano i gradini del mondo, per scalfire meglio intensi valori e riportarli alla luce con la preziosità del suo animo gentile, così attento e riverso negli occhi della magnifica luce, che generosa s’irradia nel mondo. Un mondo, che le riesce meglio a guardarlo, sotto i riflettori della realtà, con le sue dure contraddizioni, coi suoi soffusi mali, assopiti nella notte, con la sua meravigliosa bellezza, che s’apre alla vita, libera, come gentili ali di laboriose farfalle.

In verità, nella poesia “Ulivo”, dai versi molto descrittivi, traspare subito l’immediata acutezza e l’attenta osservazione nella minuziosa figura di quest’albero, mettendo in forte risalto la sua robusta crescita, di foglie che si stagliano verso il ciclo, proprio come se fossero nodose braccia. Ella, quindi, attraverso i suoi versi valorizza l’importanza del frutto dell’olivo, risaltando la grande, instancabile, fatica e sudore dell’uomo; nonché la sua reale ricchezza essenziale come vera fonte di guadagno. La poetessa rafforza meglio questi concetti, nei suoi stupendi versi, dicendo, appunto:”Braccia nodose/vestite di un sussurro verde argento/accarezzano il ciclo senza tempo./Lo stormire delle foglie/racconta/degli uomini,/della fatica, del lavoro/mentre fili di perle ondeggiano al vento,/ricca promessa/di oro verde” (pag.12).

In effetti, grazie alla fervida creatività d’immaginazione, Anna Maria, riesce a sprigionare tante vere, calde, emozioni, dai suoi pensieri, particolarmente, costruttivi nella varietà dei suoi contenuti inestimabili; riportando alla luce il grande attaccamento e il lavoro impareggiabile dell’uomo. Anticamente, già esisteva un rapporto così strettamente affettivo tra uomo-terra ai tempi dei nostri avi, direi ancora oggi questo legame è così presente in distese aree agricole del nostro paese. Una terra sempre più amata e coltivata con instancabile passione, vivo ardore e tanto sudore, per ricavarne, non solo dei sostanziosi frutti per la comunità di mercato, come lavoro reale, ma, anche, come prevalente utilità quotidiana per il sostentamento della famiglia.

Ancora più autentica, si riscopre l’anima vera, di una valida poetessa, quando si confida ai versi, dicendo, nella bella poesia: “La Storia”: “Scriverò il libro,/per raccontare la storia/di tutto ciò che mi hai dato,/della vita vissuta./Avrei iniziato oggi/mentre la sabbia leviga/i margini del tempo …” (pag.19). E’ vero, l’artista, è disposta a scrivere la storia, sa che deve farlo. Nel suo nascondiglio dell’anima c’è anche questa priorità, quella di volere scrivere un libro per raccontare, poi, la sua storia. Ella, desidera farlo, è preparata a questo e, più ci pensa e più si accorge, che la sabbia leviga i margini del tempo. Dunque, intuisce la sottile patina di precarietà che caratterizza il nostro tempo, che non da mai tregua. Anzi, continua a scandire, flemmatico, con le sue ore interminabili, quel reale senso assoluto, di forte usura, nella sua corsa inarrestabile che, poi, lascia indietro ogni cosa.

Nei versi di “L’Acero Rosso” e “L’Albero di ciliegio”, si riscopre una poetessa perdutamente amante della serenità e tranquillità, sempre alla ricerca di uno spazio davvero irrinunciabile, quanto unico e magico, però essenziale, per chi scrive poesie. Anna Maria, lo sa perfettamente, per questi motivi va in cerca dei suoi angoli preferiti, li adora, li scova, per respirarne l’essenza e immergere tutta se stessa, nel profondo della vita e della libertà, per ammirare un ciclo stellato, oppure restare muta, dinanzi ad una donna, distante non troppo per riuscire a vederla, intenta a tagliare tranquillamente il pane sulla sua tavola, con la bontà laboriosa della brava massaia.

Orbene, tutte queste belle osservazioni, sono veri spunti per un modo speciale di intendere e di esprimere una nuova poetica, vera espressione di occhi realistici di un mondo che rimane, costantemente, osservato e descritto nel suo insieme. Nei versi: “L’Albero di ciliegio”, appunto, dice: “Nel giardino/dei cuori/incantati/non entrerò./Mai./ Resterò fuori/in attesa,/spiando/chi solo d’amore/sa vibrare./Io vivo nell’orto tranquillo/dietro la casa/ col ciliegio in fiore”, (pag.27). Ecco dunque l’angolo preferito di Anna Maria Folchini Stabile, che sa descriverlo molto attentamente, con lieve sfumature di autentica, straordinaria, bellezza.

Molto più significati e concreti, direi di notevole interesse, sono invece i versi di: “Pensando a Darwin”, in cui afferma: “Dalla notte del tempo/è custodito gelosamente il segreto/degli uomini/che siamo./Niente è scontato o casuale…. /Netta si staglia la grandezza dell’uomo/che sa riconoscerla.” (pag.31). Invero, la grandezza dell’uomo oggi la si può benissimo scorgere in Darwin geologo, grande studioso, grazie all’avventuroso e coraggioso viaggio intorno al mondo.

Un lungo viaggio, che durò quasi cinque anni, sul brigantino Beagle, in veste di naturalista, toccando le isole Canarie, isole di Capo Verde, Bahia San Salvador e le isole di Galàpagos, poi, ancora, La Nuova Zelanda, Australia, Capo di Buona Speranza e isola di Sant’Elena. Durante queste tappe di viaggio raccolse un’innumerevole varietà inestimabile di campioni, per meglio rafforzare le teorie dei suoi straordinari studi. Egli ebbe modo, così, di conoscere nuova vegetazione, sparsa in distese terre umide, molto stagnanti, dove la vegetazione, unica al mondo, era allora, pressoché sconosciuta; per affermare così la teoria dell’evoluzione, detta anche “Teoria dell’evoluzionista”, come elemento comune, ovvero quel sottile filo conduttore della diversità della vita. I suoi studi e le sue teorie furono confrontati nei grandi, disparati, musei del mondo, oggi sono ancora custoditi e apprezzati, ci danno un’immagine straordinaria, davvero luminosa, di questo noto studioso naturalista.

Di notevole valenza e altrettanto fascino trovo unica la bella poesia “Sciamana”, in cui dice: Comprendere ciclo e terra,/ sospesa a mezzo tra/ aria e oceano,/vestita di colori del sogno/ponte vivo che vola/tra Uomo e Dio…” (pag. 10) .

Va comunque detto che la prima Sciamana è la sibcriana Nadia Stepanova, nata a Burjatija una regione lungo il lago Bajkal, considerato il mare sacro, oggi repubblica della federazione russa. Ci sono poi le sciamane di Tuva, un’antica terra della Siberia, centro meridionale, estesa lungo il confine con la Mongolia. Queste sciamane sono in grado di mettersi in contatto con gli spiriti dell’aldilà e sanno fornire risposte adeguate ad enigmi o sciogliere dubbi che assillano la mente umana. Esse sono dotate di particolari caratteristiche sensitive e innata sensibilità che va oltre alla normale comprensione umana. In alcuni periodi dell’anno si rispettano e si praticano riti particolari per richiamare la protezione degli dei sui raccolti annuali o per invocare pioggia, in casi di siccità. Queste credenze sciamamene, per il bene della collettività, sono tutt’oggi molto diffuse, seguite e praticate presso le comunità di molti popoli.

Orbene, nella poesia “Sciamana” della poetessa è da intendere colei, ovvero se stessa, che con vivo desiderio vorrebbe assurgere a sé tutte quelle grandezze e facoltà necessarie, per arrivare ad un preciso fine o immediato obiettivo come quello di comprendere ciclo e terra, di vestirsi di colori per volare sopra le straordinarie distese tra aria e oceano. Lei vestita di colori da sogno, planando adagio con la sua generosa anima per arrivare lassù nei cicli, oltre l’immaginario, dove risiede Dio.

A mio dire, chi desidera leggere le poesie di Anna Maria Folchini Stabile, dovrà farlo, prefiggendosi, un’attenta, vera analisi delle poesie. In quanto, una rapida o scorrevole lettura, senza soffermarsi per capire, davvero l’anima della poetessa, è sconsigliabile. Altre liriche, di notevole interesse, sono senza alcun dubbio: “L’Età delle regine”, “L’aquilone”, “Via”, “Notte stellata”, “La vita insieme”, “Eventi”, “II mondo in uno sguardo”, “Come eri”, “Pensieri gelati”, “II cuore del poeta”, “Tempi”.

Infine, in cuore marinaio si scorge l’altra faccia di un’autrice introspettiva, che si interroga pensierosa, così tanto desiderosa di scoprire meglio chi sia lei veramente, e, con altrettanta inquietudine, afferma, in “Cuore marinaio”: “L’anima mia/naviga a vista/in un limbo si silenzi/tra scogli di sicurezze/e gorghi di possibilità/ So che ci sei/mio Doppio/mio Angelo mio Altro me,/quando la certezza viene meno/quando nel dubbio/rinunciare è la scelta….” (pag.30). Ecco, un’altra particolarità di un modo di sentire, così avvincente, che risalta fortemente, dentro di sé, la figura del dualismo, che comunque fa parte, nell’insieme, della profonda percezione dell’animo di un poeta. Lei lo avverte, come soltanto veri poeti sanno percepire, intimamente, per poter donare agli altri altre magnifiche poesie, ricche di autentico amore e forte intuito per la libertà, in senso assoluto.

In conclusione, versi plasmati tutti all’insegna d’intense gioie della vita quotidiana, rinnovate altresì da tante belle speranze ancora forti e preziosi sentimenti che sanno vibrano al cuore, lentamente, nuove calde emozioni.

 

ANNA SCARPETTA

 

QUESTA RECENSIONE VIENE PUBBLICATA PER GENTILE CONCESSIONE DELL’AUTRICE.

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madrelingua
di Julio Monteiro Martins
Besa Editrice, 2005
ISBN: 9788849702736
Pagine: 104
Costo: 10 €
Recensione a cura di Lorenzo Spurio

Le forme possibili d’amore nella vita adulta, all’infuori delle psicosi e delle perversioni, delle quali conosco davvero poco, potrebbero essere: l’amore suicida, l’amore assassino, l’amore genitale olfattivo, l’amore eternamente assente, l’amore scenografico, l’amore sadomasochista, l’amore complice esistenziale, l’amore disperato, l’amore alla luce del fuoco e l’amore di Carnevale.

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Che cos’è madrelingua? Un romanzo breve vertente sulla lingua del paese d’origine dell’illustre autore, ossia il portoghese brasiliano? No, siamo fuori strada. Il libro parla di come si scrive un libro, ma non è un saggio. E’ un romanzo. E’ un romanzo sul romanzo. Julio Monteiro Martins, celebre autore in lingua portoghese brasiliana e in italiano e direttore della prestigiosa rivistaSagarana, non è la prima volta che affronta una tematica referenziale in un suo scritto. Referenziale senza accezioni di giudizio valutativo, ma nel suo contenuto. Ci si riferisce alla referenzialità o alla meta-letteratura[1]quando la finalità di un testo non è quella di raccontare una storia – bella o brutta che sia- ma quello di far riflettere sul testo stesso, su come esso è scritto, quali sono i procedimenti che sottendono l’intero lavoro, quali sono i legami “nascosti” tra autore e libro, tra autore e prodotto finale.

Nel preambolo di questo meraviglioso romanzo – aggettivo che non uso mai nelle recensioni, non perché non abbia trovato libri degni di tale complimento, ma perché generalmente non si attiene allo stile critico di valutazione di un testo – si affrontano queste tematiche e l’autore sottolinea subito una cosa che potrebbe sembrare banale o sulla quale non abbiamo mai riflettuto: “La storia del romanzo, così com’è stata raccontata finora, è la storia dei romanzi finiti, ossia delle opere che sono giunte alla compiutezza e alla conclusione desiderata dai loro autori. È quindi una storia parziale, che esclude e ignora quei più di due terzi di romanzi scritti e mai conclusi, abbandonati a metà strada, ingarbugliati su se stessi, troppo sconvolgenti per i nervi dei loro autori, di sbilenca architettura, ossessionati da cose che non interessano a nessuno, anacronistici, demenziali, avanguardisti all’estremo, diffidenti delle possibilità del romanzo come genere, troppo banali, o troppo poco banali per le esigenze contemporanee”. Quello che il lettore del libro percepisce come un’unita tematica, stilistica, contenutistica in un dato libro in realtà non è che la summa di vari stili, temi e contenuti che l’autore ha cercato di coniugare in una narrazione unica. Ma non solo. Il romanzo, o il libro in generale, non è fatto solo dal suo contenuto, da ciò che è presente, ma anche dal non-contenuto, qualcosa che è assente sulla carta, ma che ha rappresentato stadi intermedi della stesura dell’autore, momenti di stasi o ripensamenti, cambi di stesura, stravolgimenti, rallentamenti, ellissi e quant’altro. Sembra di parlare del nulla, ma in realtà non è così.

Un romanzo lasciato a metà, incompiuto o tralasciato, non è un qualcosa da considerare negativamente, tutt’altro. E’ affascinante – o potrebbe esserlo- indagare il motivo di quella incompiutezza, le ragioni intrinseche che hanno portato l’autore a tralasciarlo e a preferire di scriverne uno completamente diverso. Milioni sono le opere incompiute in ciascuna letteratura, ma anche queste debbono essere tenute in viva considerazione ed è forse lì – come suggerisce lo stesso Julio Monteiro Martins – che il legame tra vita-letteratura, tra l’esperienza dello scrittore in quanto essere umano e il suo impegno in qualità di letterato si mostra in maniera indissolubile.[2]

La storia della letteratura, pertanto, è  –dovrebbe, dato che nei manuali non è così- fatta anche dai libri incompiuti, dai libri perduti e dimenticati, dai libri bruciati al rogo, dai libri censurati, messi a tacere, dai libri persi per una mancata conservazione. Non è fatta solo dai libri presenti nelle nostre biblioteche, disponibili e consultabili, ma anche da tutti quegli esperimenti di scrittura che per qualche motivo non hanno qui nella nostra contemporaneità una consistenza fisica – o digitale se pensiamo agli e-book– o comunque una disponibilità di lettura.

madrelingua – notare la minuscola della lettera iniziale[3] – è un romanzo doppio o, meglio, che sviluppa due storie parallele, quella dell’autore dimadrelingua e quello del suo personaggio principale. Entrambi, ovviamente, sono prodotti di Julio Monteiro Martins ed è necessario entrare da subito, già dall’inizio, nell’ottica di come è strutturato questo romanzo. Manoel Alves dos Santos, detto Mané, parla in terza/prima persona; tra parentesi quadre, invece, ci vengono date informazioni aggiuntive che non riguardano lui ma l’autore di madrelingua. Paradossalmente questi è e non è Julio Monteiro Martins. Lo è in termini semplicistici, pratici, ma non lo è nell’artifizio narrativo, nella strategia di comunicazione che ha deciso di impiegare. Uno stralcio del romanzo per comprendere questo dualismo narrativo è necessario per chiarire quanto si sta appena argomentando:

Sono lo stesso di sempre, nient’altro: Manoel Alves dos Santos, detto Mané, che ha vissuto ormai per sessant’anni [io invece ne avevo solo 46 quando ho scritto questa pagina]. Nato a Niterói [anch’io!],trasferitosi a Firenze [io a Lucca] nel periodo Craxi [nel periodo Dini]. Un bel cambiamento, senz’altro, ma sessant’anni non sono mica pochi, eh. E questa è una lunga storia, vissuta da Icaro e da Sisifo, da Teseo e da Pulcinella [caspita! povero lettore…].

Per facilitare la comprensione si riporta in grassetto la parte che concerne il protagonista del romanzo, Mané, scritta in terza persona e la parte tra parentesi quadre e sottolineata che corrisponde, invece, all’anonimo autore dimadrelingua, una voce che, invece, è in prima persona.

In questa maniera praticamente leggiamo due storie in una, due romanzi in uno e ciascuna storia ha legami e riflette l’altra in modo che l’intera narrativa non è che un carosello ritmato di voci che si scambiano, si confrontano, un dialogo che si instaura tra due “monologhi ravvicinati e comunicanti”.

Continuando nella lettura ci rendiamo conto che tutti gli incisi nelle parentesi quadre non sono altro che i pensieri dello scrittore stesi sulla carta nel momento in cui è alle prese con il suo romanzo. E’ un flusso di coscienza che ci informa su cosa sta pensando l’autore, cosa vorrebbe narrare, come la pensa su certe cose. Si tratta, in effetti, del pensiero stesso dello scrittore nell’atto di elaborare le vicende del suo romanzo, le suggestioni, gli interrogativi che, curiosamente, Julio Monteiro Martins stende sulla carta perché anche quella è una componente del romanzo-prodotto finale. Vediamone un chiaro esempio:

Miranda ha conosciuto Carlo Giuliani a Genova [ho scritto questo brano e subito ho pensato di cancellarlo, perché mi sembrava una forzatura, l’inserzione di un elemento estraneo alla narrativa solo perché volevo parlare di lui. Ma poi ho deciso di lasciarlo comunque: non è del tutto inverosimile che lo avesse conosciuto, magari un po’ più giovane di lei, il giro potrebbe essere più o meno lo stesso, feste nei centri sociali, spettacoli alternativi di musica, cabaret, spiagge… dài, ce lo lascio], circa un anno prima che fosse assassinato dalle ”forze dell’ordine”..

Non mi interessa in questa sede tratteggiare quello che è il contenuto di questo romanzo breve, ma focalizzarmi, invece, su come è stato scritto. E’ affascinante il modo in cui Julio Monteiro Martins riesca a scindersi, a sdoppiarsi e ad essere presente ubiquamente in realtà, tempi ed episodi diversi. Questo, ovviamente, è il potere della scrittura. Non di una scrittura frivola e approssimativa, ma di un amore indissolubile verso la letteratura e verso i procedimenti di scrittura e costruzione della narrativa che stanno molto a cuore a Julio Monteiro Martins. Narrazioni come questa ci fanno viaggiare, tra realtà e immaginazione – sebbene non ci sia niente di fantastico-, ci spaesano un po’, ci disorientano, ma ci affascinano proprio perché l’autore, abile maestro della prosa, gioca con il lettore, richiamando la sua attenzione e coinvolgendolo a pieno nei vari squarci narrativi tanto da depistarci, illuderci, e farci confondere il confine tra realtà e scrittura, tra persona e personaggio:

[P]rima di andarmene, vorrei chiedervi:  – e non occorre che mi rispondiate – è vero o no che alcuni dei vostri migliori amici, o se non altro quelli che vi hanno deluso di meno, sono stati personaggi come me?

 

Chi è l’autore?

Julio Monteiro Martins è nato nel 1955 a Niteroi, nello stato di Rio de Janeiro (Brasile). Si dedica alla scrittura fin da ragazzo e già nel 1976 pubblica i primi racconti. Nel 1979 partecipa allo International Writing Programdella University of Iowa (USA), ricevendo il titolo di Honorary Fellow in Writing, e per un anno insegna scrittura creativa al Goddard College (Vermont, USA). Continua poi l’insegnamento presso la Oficina Literária Afrânio Coutinho (Rio de Janeiro), dal 1982 al 1989, e in seguito in Portogallo, presso l’Instituto Camões di Lisbona (1994) e presso la Pontifícia Universidade Católica do Rio de Janeiro (1995). Dal 1996 insegna all’università di Pisa, dove attualmente tiene il corso di Lingua Portoghese e Traduzione Letteraria. Dirige inoltre il Laboratorio di Narrativa del Master di Scrittura Creativa, presso la Scuola Sagarana di Lucca. È fondatore e direttore della rivista culturale Sagarana (www.sagarana.net).

All’attività di scrittore e docente affianca un impegno attivo in campo politico e sociale. Nel 1983 è uno dei fondatori del del Partido Verde brasiliano, e successivamente, nel 1986, del movimento ambientalista brasiliano “Os verdes”. Nel 1991, avendo affrontato studi universitari di indirizzo giuridico, è avvocato dei diritti umani per il Centro Brasileiro de Defesa dos Direitos da Criança e do Adolescente (ONG), occupandosi in particolare dell’incolumità dei meninos de rua chiamati a testimoniare in tribunale, in seguito all’orrenda strage della Chacina da Candelária, nella quale una squadra di poliziotti in borghese uccise nel sonno a colpi di mitra bambini abbandonati che dormivano in strada a Rio de Janeiro.

La produzione letteraria di Julio Monteiro Martins comprende numerose opere sia in portoghese brasiliano sia in italiano, essendo quest’ultima la lingua attualmente preferita dall’autore. Pur prediligendo la forma narrativa, Monteiro Martins ha pubblicato anche poesie e pièce teatrali. Da alcune sue opere sono state tratte sceneggiature di cortometraggi. Di seguito i principali titoli.

In portoghese: Torpalium (racconti, Ática, São Paulo, 1977), Sabe quem dançou?(racconti, Codecri, Rio, 1978) Artérias e becos (romanzo, Summus, São Paulo, 1978), Bárbara (romanzo, Codecri, Rio, 1979), A oeste de nada (racconti, Civilização Brasileira, Rio, 1981), As forças desarmadas (racconti, Anima, Rio, 1983), O livro das Diretas (saggi politici, Anima, Rio, 1984), Muamba (racconti, Anima, Rio, 1985) e O espaço imaginário (romanzo, Anima, Rio, 1987); suoi lavori sono inoltre apparsi in numerose antologie.

In italiano: Il percorso dell’idea (poesie, Bandecchi e Vivaldi, Pontedera, 1998),Racconti italiani (Besa Editrice, Lecce, 2000), La passione del vuoto (Besa, Lecce, 2003 ), Madrelingua (romanzo, Besa, Lecce, 2005) e L’amore scritto(racconti, Besa, Lecce, 2007); ricordiamo infine la partecipazione, assieme ad Antonio Tabucchi, Bernardo Bertolucci, Dario Fo, Erri de Luca e Gianni Vattimo, all’opera collettiva Non siamo in vendita – voci contro il regime (a cura di Stefania Scateni e Beppe Sebaste, prefazione di Furio Colombo, Arcana Libri / L’Unità, Roma, 2002). Nel 2011 è stata pubblicata la monografia sulla sua operaUn mare così ampio: I racconti-in-romanzo di Julio Monteiro Martins, di Rosanna Morace, per la Libertà edizioni, di Lucca.

Lorenzo Spurio
scrittore, critico-recensionista
Blog Letteratura e Cultura

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Fantasmi di Matteo Dondi

con prefazione a cura di Luca Milasi
Limina Mentis Editore, Villasanta (MB), 2010
Collana: Ardeur
ISBN: 978-88-95881-24-9
Numero di pagine: 58
Costo: 10,00 €

Recensione a cura di Lorenzo Spurio
Collaboratore di Limina Mentis Editore

Così sono gli uomini
E così sono i sogni
Se non son veri
Sono solo fantasmi.

(“Fantasmi”, p. 45)

Dopo una prima silloge dal titolo Naos, pubblicata dalla casa editrice romana Il Filo, Matteo Dondi torna con una nuova pubblicazione dal titolo Fantasmi. Il libro che andrete a leggere – libricino, in realtà dato che conta di appena cinquantotto pagine- contrariamente al titolo non ha niente di fantastico, gotico o di ectoplasmatico. Il significato e il senso dell’intera silloge va forse ritrovato in una delle liriche iniziali dal titolo “Déjà vu” dove Matteo Dondi descrive il genere umano attorniato da un velo inconsistente e indistinto, una pellicola di vapore, un’ombra che vive “nei paraggi delle nostre vite”. E’ in questa simbiosi di materia e di alone immateriale che si realizza l’esistenza umana tra il corporeo e l’aereo, tra il materiale e l’aldilà. “Nell’estasi eterna di un dèjà vu/ Nell’odore acre di desideri bruciati/ Ridendo a crepapelle/ Troviamo la nostra fine” (p.25), conclude Dondi.

Matteo Dondi sintetizza nelle liriche presenti in questa raccolta le sue vedute –principalmente di carattere filosofico e religioso- in una serie di poesie dall’andatura lenta, cadenzata e ritmata. L’intera raccolta si fonda su alcuni temi centrali che poi ritornano in maniere e forme diverse per tutto il libro: il tempo che scorre, il dubbio sull’aldilà, la morte. Non mancano, però, anche riferimenti più concreti al suo vissuto di uomo-scrittore, riscontrabile nei tanti ricordi, episodi di un passato lontano che però restano vividi nella mente del poeta come avviene in “Adolescenza” dove Matteo Dondi imprime: “Beata l’adolescenza/ che tutto accoglie/ e con la piega spavalda/ agli angoli della bocca/ ogni avversità affronta” (p. 46).

Come sottolinea Luca Milasi nella lunga nota introduttiva, la poetica di Matteo Dondi si basa su una pluralità di stili letterari ed è per questo corposa, plurimaterica, difficilmente catalogabile in un genere o in una corrente. Prevalgono i toni mesti e crepuscolari per l’esplicita volontà del poeta di richiamare quell’ “assente sempre presente” che è la Morte e che, dal giorno della nostra nascita, in qualche modo ci avvolge e ci riguarda. E’ forse compito del poeta, acuto esegeta del mondo che gli è toccato di vivere, domandarsi su di essa, forse per esorcizzarla o per tentare di conoscerla meglio e allontanarla da sé. Matteo Dondi utilizza metafore, analogie e costruzioni verbali per far continuo riferimento ad essa: a volte è un’ombra, a volte è l’imbrunire della sera, altre volte un fantasma, altre volte ancora il tutto si semplifica in versi come “In attesa del peggio” (p. 30). Il manifesto della “signora oscura” è forse presente nella lirica intitolata “Gravità= M2” dove quella “m” elevata alla seconda potenza ha una forza doppiamente maggiore. La “m” richiama la malattia, stato patologico dell’uomo che nei casi peggiori o insanabili conduce alla morte, l’altra parola a cui la “m” si riferisce. Ma la cosa più grave, sembra suggerire il poeta, non è la morte in se stessa, ma l’oblio che da essa deriva, la cancellazione dei ricordi, dei momenti, del passato, la dimenticanza, il fare tabula rasa di una persona, della sua esistenza. Nella lirica, infatti, conclude: “Morte, dolore, ancora morte/ Poi oblio” (p. 43).

La silloge, però, rifugge la morbosità e non condivide a pieno una prospettiva completamente pessimista o addirittura allarmista: segnali di positività, di speranza ci sono ed essi sono soprattutto presenti nelle invocazioni a Dio: “Dio fatti presente” (p. 28) o nei ringraziamenti: “Grazie a te o Dio” (p. 48).

Chi è l’autore?

Matteo Dondi è nato nel 1978. Si è laureato ad DAMS di Bologna con una tesi sul compositore Alessandro Peroni di cui ha curato il catalogo delle opere. Musicista e autore, ha pubblicato varie produzioni discografiche, fondato e militato in numerose band; nel 2003, con il videoclip “She’s still rockin’”, da lui scritto, suonato, diretto e interpretato è giunto in finale al “Premio Videoclip Italiano” (MEI, Faenza). Come critico e giornalista collabora con alcune riviste. Nel 2008 ha pubblicato la raccolta di poesia Naos (Il Filo Editore, Roma). E’ presente come autore nella raccolta poetica DemoKratika (Limina Mentis Editore, Villasanta).

Lorenzo Spurio

scrittore, critico-recensionista

Collaboratore di Limina Mentis Editore

E’ SEVERAMENTE VIETATO DIFFONDERE E/O PUBBLICARE LA PRESENTE RECENSIONE IN FORMATO INTEGRALE O DI STRALCI SENZA IL PERMESSO DA PARTE DELL’AUTORE.

Come definire questo libro?

Un itinerario fra i giardini nelle varie epoche, attraverso visioni di scrittori diversi?

Un atlante istruttivo e dettagliato d’analisi e concentrati di scrupolose notizie?

Un incanto attraverso tante meravigliose menti che hanno descritto luoghi fatati, paurosi, curiosi, tetri, allegri, bui o pieni di luce?

Questo libro è tutto questo.

la metafora del girdino in letteraturaLa metafora del giardino in letteratura“. Un volume, scritto da due giovani e preparati autori; Lorenzo Spurio e Massimo Acciai, che passo dopo passo, attraverso i loro modi di vedere, ci regalano le loro impressioni in una sorta di commenti ben elaborati ed estremamente delineati da un ottica attenta e critica,  riuscendo a creare veri e propri saggi sull’argomento, saggi che arricchiscono la curiosità nel lettore, proponendo alcune pagine di  testi letterari scritti da autori di opere fantasy e altri testi  scritti da autori di contenuti classici.

Autori come Lewis Carrol, C.S.Lewis, Borges, Dino Buzzati, Anton Cechov ecc..

Sarà un viaggio attraverso i giardini in decadenza, giardini poveri di alberi, di fiori e di verde,giardini sfarzosi e incredibilmente vasti, giardini sterili e di cemento, giardini rigogliosi e prosperi.

Di ogni giardino, ne verrà data visione  attraverso alcuni  passi tratti da romanzi, opere e poesie e analizzata in maniera encomiabile da Spurio e Acciai che identificheranno con precisione e accuratezza,  il simbolismo, l’essenza, il periodo storico, di queste aree verdi dove da sempre sono luogo di amori, nascondigli, estasi, o cupi anfratti, tetre boscaglie o confini per alcuni.

Una lettura che appassiona, che coinvolge e che regala il piacere di saperne di più, perché la metafora del giardino non è altro che la simbiosi fra l’uomo e la natura, la materia e lo spirito, giardini dove, come nell’uomo , si nasconde un dualismo fatto di bene e male, di gioia e peccato.

Vi saranno le descrizioni sugli stili dei vari giardini a secondo delle località e del periodo storico, e quindi riferimenti ai giardini barocchi, inglesi, rinascimentali e non mancheranno  le descrizioni ai giardini paradisiaci come il giardino dell’Eden che nella sua bellezza, nasconde il mistero e  la paura.

Il giardino, che attraverso gli occhi degli autori è sicuramente sinonimo di vita, di germoglio, di percorso, dove a volte vi sono fiori, altre volte recinti, altre ancora fontane; giardini come metafore alla vita e alla sua emozionalità, vite aride come giardini cementati, vite felici come i giardini rigogliosi, esistenze misteriose come i giardini fantastici, bui come l’angoscia, aridi come la solitudine.

Simbolismi e similitudini, in un girotondo di continua morte/vita come lo è la vita di una pianta/fiore o la speranza della vita stessa dopo la morte terrena.

Il giardino emblema di un luogo caro, cercato, costruito e desiderato fin  dall’antichità come scelta dell’uomo nella funzione di oasi di qualcosa oltre la materia, un luogo dove sognare e sperare, ma anche piangere e chiudersi in solitudine.

Un libro che può dare mille risposte, a secondo di cosa un lettore cerca: conoscenza?, curiosità?, riflessione?.

Senza dubbio Lorenzo Spurio e Massimo Acciai, ci aprono una finestra nella visione totale di un pensiero e a tante considerazioni che , forse, senza questo libro, non ci avrebbero  neppure sfiorato!.

Written by Marzia Carocci

Le voci della memoria
di Anna Scarpetta
Ismeca Libri, Bologna, 2012
ISBN: 978-88-8810-039-3
Prezzo: 12 Euro

Recensione a cura di Lorenzo Spurio

La caratteristica principale di questa silloge di poesie di Anna Scarpetta, celebre poetessa di origini napoletane, sta nel fatto che l’origine della gran parte delle sue liriche si collochi nel ricordo del passato, di alcuni momenti comuni e rituali che appartenevano a una sua età passata. Questo ricordo, palpabile pagina dopo pagina, a tratti trasfonde una sensibilità nostalgica e quasi crepuscolare, altre volte, invece, è il motivo d’indagine sociale del presente. La prima poesia raccolta nella silloge, “Le voci della memoria”, quella che dà il nome all’intero libro, ci inserisce subito in questa dimensione: il ricordo è forte e sempre vivo “ad ogni stagione, ogni amaro inverno, sempre” (p. 9). Il ricordo, sembra suggerire la poetessa, ci appartiene sempre, anche quando non ne siamo consapevoli ed è la somma di tutti i ricordi, di quelle pietre preziose, che danno senso al nostro esistere.

AnnaScarpetta“Io sono qui” si configura come una sorta di preghiera laica nella quale Anna Scarpetta sottolinea l’importanza del hic et nunc: sono qui ora, penso, rifletto, mi faccio domande, considero il nulla, vaglio il mistero, sempre consapevole di quella cosa che ogni secondi si autodistrugge, il tempo. E’ questa una presenza costante nelle poesie di Anna Scarpetta: il tempo presiede ed osserva tutto, invisibile e a volte impercettibile e, come la morte –che poi è la fine del tempo-, è un’entità che ci rende umani e tutti uguali: “così tu, alla fine, tempo/ sei uguale per tutti dovunque” (p. 11).

Le liriche della poetessa ci consegnano una poesia vivida e riflessiva, solo a tratti filosofica, di semplice lettura, frutto di un’attenta e continua analisi dell’inconscio di una donna ricca dentro, consapevole del trascorso del tempo e che ha fatto e fa tesoro dei momenti passati, per imprimerli sulla carta. E’ un tentativo, questo, di affrescare la vita anche se – come sostiene lei stessa- “ci vorrebbe un’altra vita/ per capire cos’è la vita” (p. 12).

Anna Scarpetta è una donna che non rifugge il passato, né che ci ha litigato, ma che ci dialoga, lo interroga e lo richiama quasi che esso fosse lì, personificato, davanti ai suoi occhi. E’ un passato fatto di gioie e dolori, come quello di ognuno di noi ma che in più punti appare come una grande mamma che accoglie, riscalda, protegge con la sua “calda memoria” (p. 14).

Un interessante omaggio e lode al nostro paese è contenuto in “Italia bella patria” dove si fa riferimento alla grandezza del popolo italiano e dei suoi uomini illustri. Il canto dell’inno è –forse- il momento in cui l’Italia si riscopre fiera della sua italianità; per la Scarpetta l’Italia è “bella e sospirosa” (p. 18), segno forse che c’è qualcosa negli italiani che provoca disinteresse, tormento, affanno e credo non sia errato leggere in questa caratterizzazione un riferimento alla presente crisi economica, causa di tanti disagi sociali. E’ infatti forte il tema sociale in “Soffrono i bambini del mondo”, un canto accorato dai toni cupi e mesti che parla di bambini orfani, soli, non amati, abbandonati, affamati, che la poetessa affida nelle mani della Madre: “avvolgi e consola” (p. 21). Nella figura della Madre va vista la Vergine, la nostra madre celeste ma anche la Madre Terra, la divinità precristiana che si identificava con la Terra e ogni manifestazione attiva nella natura.

Scorrendo da una poesia all’altra la poetessa mantiene un dialogo continuo con il dio Chronos “con il suo sguardo regale di marmo” (p. 23)

La Scarpetta è una donna che dà tutto alla poesia e che, al tempo stesso, da essa riceve tutto. La poesia è fonte di conoscenza del mondo e di noi stessi, dà senso alle cose ma sa anche “lenire in silenzio e quietare il dolore/ di chi si accusa con colpa e patisce” (p. 24).

Nella bellissima poesia “Chi siamo noi” la poetessa risponde che siamo dei sognatori, dei lavoratori, delle anime sensibili. Siamo ammassi di memorie, eredi del passato, viaggiatori.

In “Verranno tempi migliori” si respira, forse, l’atmosfera più ottimista e speranzosa dell’intera silloge: la poetessa intravede tempi più felici e prosperi per tutti che saranno capaci di soprassedere alle logiche materialistiche e personalistiche dell’oggi (narcisismo, consumismo) attraverso la fede, unica vera arma di salvezza. In “Il tempo  è di Dio”, Anna Scarpetta ci ricorda che il tempo non è nostro ma che “è innanzitutto di Dio” (p. 32) e che ci è dato sotto forma di un regalo. C’è l’implicito avvertimento a non sprecarlo, a dargli il giusto valore e a utilizzarlo bene. Rallentamenti, ellissi, retrospezioni, acceleramenti sono segni dell’utilizzo umano del tempo mentre il Signore ce lo ha affidato come una materia bianca, compatta e unica.

La poetessa è talmente coraggiosa di prevedere anche uno scenario futuro che la riguarderà nella poesia “Quando vacillerà la mia memoria”: quando la memoria verrà meno – e con essa tutti i vari ricordi- allora non sarò niente ed avrò perso tutto; in un’altra poesia osserva “voglio ricordare tutto, senza azzerare mai nulla”.

Degna di nota la poesia che Anna Scarpetta dedica ad Anna Frank, la povera ragazza olandese nascostasi con la sua famiglia nell’appartamento di Prinsengracht  ad Amsterdam per vari mesi prima di essere scoperta e mandata in un lager. Con un ricco complesso aggettivale, la Scarpetta ripercorre i vari momenti dell’esistenza della ragazza, dalla giovinezza spensierata e felice mai avuta che, in altri contesti, le avrebbe di sicuro consentito di sviluppare una vita di soddisfazioni e di gioie terrene.

Grazie ad Anna Scarpetta per questo bellissimo percorso che ci fa fare. La sua scrittura ha un leggero andamento narrativo, quasi che il verso le stia un po’ stretto per raccontarsi. E’, infatti, una donna che ha tanto da narrare e da donare – tramite la scrittura – agli altri.

Chi è l’autrice?

Anna Scarpetta è nata nel 1948 a Pozzuoli (Na). Si è poi diplomata Perito ragioniere a Napoli, dove ha vissuto molti anni e dove ha studiato presso la Scuola di recitazione e spettacolo di Napoli. Ha lavorato a Milano presso la Rete Ferroviaria Italiana ed attualmente risiede a Novara. Si è sempre dedicata alla poesia, narrativa e saggistica. Ha collaborato con numerose e prestigiose riviste culturali, è stata presidente onorario per la Città di Napoli del MOPEITA (Movimento per la diffusione della poesia in Italia), è membro Honoris Causa a Vitae del Centro divulgazione Arte e Poesia; ha ottenuto numerosi riconoscimenti e prestigiosi premi in molti concorsi letterari. E’ presente in numerose Antologie di poesia contemporanea e ha già pubblicato Poesia (liriche, Ed. Gabrieli, 1985), Frantumi di tempo (poesie, Ed. Lo Faro, 1991), L’altra dimensione della vita (poesie, Ed. Libroitaliano World, 2004).

A cura di Lorenzo Spurio

E’ SEVERAMENTE VIETATO RIPRODURRE E/O DIFFONDERE LA PRESENTE RECENSIONE IN FORMA INTEGRALE O DI STRALCI SENZA IL PERMESSO DA PARTE DELL’AUTORE.