BIBLIOTECA PIETRO THOUAR
FIRENZE, venerdì 20 settembre 2013, ore 16:00

LORENZO SPURIO
presenterà il suo nuovo libro di racconti
“LA CUCINA ARANCIONE”
edito da TraccePerLaMeta Edizioni (2013)

La presentazione si svolgerà presso la
BIBLIOTECA PIETRO THOUAR
Via Mazzetta 10 – FIRENZE

venerdì 20 settembre alle ore 16:00

RELATRICE: Marzia Carocci – poetessa, scrittrice-recensionista

INTERVERRANNO:
Massimo Acciai -poeta, scrittore, direttore Rivista Segreti Di Pulcinella
Sandra Carresi – poetessa, scrittrice, vice-pres. Ass. TraccePer LaMeta
Rita Barbieri – docente di lingua e lett. cinese –
Davide Dettore – professore associato di Psicologia Clinica dell’Università di Firenze

La scrittrice Luisa Bolleri farà delle letture dal testo.

Sarà presente l’autore.

La S.V. è invitata a partecipare.

Info: lorenzo.spurio@alice.it – www.blogletteratura.com

Acquista il libro online:

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Lorenzo Spurio, scrittore e critico letterario marchigiano, ha ampliato la sua tesi di laurea magistrale conseguita all’università degli studi di Perugia nel 2011 sul tema della “devianza sessuale” nella narrativa dello scrittore britannico Ian McEwan e questo ne è il prodotto finale.

In questo ampio saggio, che si apre con una prefazione dello scrittore Antonio Melillo sul ruolo dell’amore nella letteratura, Spurio sviscera alcune delle problematiche sociali proposte dall’autore inglese tra le quali la follia, le aberrazioni, il perturbante, il deviato e la degenerazione di alcuni atteggiamenti frutto di una psiche malata. Il percorso che il lettore è chiamato ad intraprendere è agevolato da un ricco apparato di critica e di note esplicative o di riferimento che rimandano ad altrettanti testi ai quali Spurio si rifà.

Il saggio affronta il tema della sessualità vista dagli occhi allucinati di giovani senza regole (come avviene nel romanzo The Cement Garden) o nei suoi aspetti deleteri di una bieca perversione (come avviene in The Comfort of Strangers) e in varie altri narrazioni l’autore lo impiega, invece, per chiarire l’austerità dei tempi in cui ambienta le sue storie, la contrapposizione tra visione patriarcale e il nascente femminismo.

Questo saggio è una ricca e propedeutica analisi critica allo studio della narrativa di Ian McEwan.

SCHEDA DEL LIBRO

Titolo: Ian McEwan: sesso e perversione
Autore: Lorenzo Spurio
Prefazione: Antonio Melillo
Genere: Critica letteraria
Casa Editrice: Photocity, Pozzuoli (Na), 2013
ISBN: 978-88-6682-463-3
Costo: 10 €

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Info: lorenzo.spurio@alice.it

La rosa in scatola
di Paola Surano
Ciccio Urso Editrice, Avola (SR), 2013
ISBN: 978-889838139-5
Pagine: 55

Costo: 9,50 €

Recensione di Lorenzo Spurio

Chi conosce Paola Surano, anche non profondamente come me, la ritroverà in pieno in questo libro. Chi, invece, non la conosce, la conoscerà per la prima volta con queste liriche che si leggono con piacevolezza. Sfogliando le pagine e dunque avanzando nella copertina_Surano2013lettura, si respira un’aria fresca e mai identica, un’atmosfera gioiosa e spensierata di una donna matura che giorno dopo giorno, ora dopo ora, coglie dal mondo che la circonda tutto ciò che esso ha di bello da offrirgli. Ed è per questo che quando mi capita di recensire le sillogi di Paola Surano non posso fare a meno di osservare che le sue opere sono un chiaro esempio di lode al creato e un ringraziamento beato al Creatore. E’ evidente la fede cattolica della scrittrice che si evince in varie liriche e nella sua stessa grande anima filantropica.

Paola si identifica con l’altro e con esso colloquia, si diverte, gioca e cresce in quel cammino fatto di strade asfaltate e altre sterrate, di gioie e dolori, di felicità ed affanni. Su tutto domina sempre la speranza e la convinzione che la ricchezza non è in noi, ma nel rapporto che con gli altri intessiamo.

Chi è l’altro allora verrebbe in mente da chiedersi?

Il nostro amico, nostro cognato, il vicino di casa, l’anziana che incontriamo sempre alla spesa, ma anche il barbone, il militare americano impegnato in una missione Oltreoceano, il cieco, il violento. Le parole di Paola, che si sciolgono in un linguaggio parzialmente musicale ed estremamente evocativo, fanno parte di una lingua senza tempo, un idioma di pace, di solidarietà e di comunione con gli altri.

Non esistono frontiere, sembra sussurrare la poetessa, quando parla di persone che appartengono ad altre città, regioni o a paesi a noi molto lontani e geograficamente e culturalmente come il Mozambico:

E’ lunga la strada per le donne,
in Mozambico.
[…]
camminano e camminano
[…]
lontano chilometri dal villaggio.
E camminano e camminano
andata e viaggio.
Se mettessero in fila tutti i loro passi
sarebbero ormai lontane, le donne
in Mozambico.

Una poesia stupenda che fotografa una realtà locale africana lontanissima dalla nostra frenesia giornaliera: il tempo sembra scandito dal camminare, come se si trattasse di una sorta di pellegrinaggio o di un tour de France a piedi, tappa per tappa. Nella poesia la Nostra mette in luce la difficile condizione della donna nell’ex colonia portoghese dove sono sulle spalle della donna una serie di attività che in una realtà poco evoluta come quella, vengono a significare dei veri e propri pesi che la indeboliscono e ne minano giorno dopo giorno la salute. Una realtà che Paola Surano ha visto con i suoi occhi in un recente viaggio per visitare il Centro dell’Associazione Macibombo Onlus che dedica le sue attività all’istruzione delle bambine.

Paola Surano canta la natura con i suoi rimandi alla flora e al lago, fonte ispiratore e di meditazione di tante liriche; ma commemora anche il ricordo di persone che, pur avendo intrapreso una strada parallela alla nostra, sono poi decedute lasciandoci (apparentemente) soli in quel percorso.

L’uomo è una summa di esperienze e di episodi, alcuni voluti altri fortuiti, e in ciascun caso non è che il prodotto di una serie di incontri, unioni (fidanzamenti, sposalizi, o amicizie) e distacchi da altre persone. Siamo quel che siamo solo perché ci rapportiamo al mondo. E il mondo non sono i monti e i mari, ma l’umanità, il gruppo sociale a cui la Nostra parla, si ispira e invoca affinché quell’animo solidaristico d’amore incontaminato per l’altro che le è proprio, possa contagiare con sapienza anche qualcun altro.

Ciascuno di noi traccia un sentiero
e cammina per anni,
inconsapevole
che il suo incrocerà
con un altro sentiero
e ne nascerà un incontro
e, forse, un tratto di strada
insieme.
(“Sentieri”,  p. 31).

La silloge lascia il posto anche a scenari più cupi e che fanno diretto riferimento alla cronaca giornaliera, quale i due tremendi assassini di Yara Gambirasio e di Sara Scazzi, nella cui poesia la Nostra riflette sul fatto che per quelle due ragazze, improvvisamente e beffardamente, il tempo si è annullato e non hanno più avuto l’occasione di vivere la vita (innamorarsi, sposarsi, avere un figlio o semplicemente viaggiare): “non ho mai pensato di non avere tempo/ per vivere la vita/ non ho mai pensato di finire così” (p. 39). In “Preghiera arrabbiata” la poetessa utilizza un linguaggio duro e indignato, è furente per la condizione sociale alla quale giornalmente assistiamo dominata da atti violenti, azioni di guerra, femminicidi e abomini di altra natura che denigrano l’essere umano e che portano la poetessa a far appello a Dio affinché aiuti l’uomo a ritrovare la sua strada.

In un mondo tanto difficile e doloroso, la speranza è un ingrediente necessario per andare avanti.

Paola Surano, come una maga bianca, ci regala questo elisir della beatitudine sulla terra con la riscoperta del semplice.

Lorenzo Spurio
(scrittore, critico letterario)

Jesi, 15-07-2013

E’ SEVERAMENTE VIETATO DIFFONDERE E/O PUBBLICARE LA PRESENTE RECENSIONE SENZA IL PERMESSO DA PARTE DELL’AUTORE.

madrelingua
di Julio Monteiro Martins
Besa Editrice, 2005
ISBN: 9788849702736
Pagine: 104
Costo: 10 €
Recensione a cura di Lorenzo Spurio

Le forme possibili d’amore nella vita adulta, all’infuori delle psicosi e delle perversioni, delle quali conosco davvero poco, potrebbero essere: l’amore suicida, l’amore assassino, l’amore genitale olfattivo, l’amore eternamente assente, l’amore scenografico, l’amore sadomasochista, l’amore complice esistenziale, l’amore disperato, l’amore alla luce del fuoco e l’amore di Carnevale.

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Che cos’è madrelingua? Un romanzo breve vertente sulla lingua del paese d’origine dell’illustre autore, ossia il portoghese brasiliano? No, siamo fuori strada. Il libro parla di come si scrive un libro, ma non è un saggio. E’ un romanzo. E’ un romanzo sul romanzo. Julio Monteiro Martins, celebre autore in lingua portoghese brasiliana e in italiano e direttore della prestigiosa rivistaSagarana, non è la prima volta che affronta una tematica referenziale in un suo scritto. Referenziale senza accezioni di giudizio valutativo, ma nel suo contenuto. Ci si riferisce alla referenzialità o alla meta-letteratura[1]quando la finalità di un testo non è quella di raccontare una storia – bella o brutta che sia- ma quello di far riflettere sul testo stesso, su come esso è scritto, quali sono i procedimenti che sottendono l’intero lavoro, quali sono i legami “nascosti” tra autore e libro, tra autore e prodotto finale.

Nel preambolo di questo meraviglioso romanzo – aggettivo che non uso mai nelle recensioni, non perché non abbia trovato libri degni di tale complimento, ma perché generalmente non si attiene allo stile critico di valutazione di un testo – si affrontano queste tematiche e l’autore sottolinea subito una cosa che potrebbe sembrare banale o sulla quale non abbiamo mai riflettuto: “La storia del romanzo, così com’è stata raccontata finora, è la storia dei romanzi finiti, ossia delle opere che sono giunte alla compiutezza e alla conclusione desiderata dai loro autori. È quindi una storia parziale, che esclude e ignora quei più di due terzi di romanzi scritti e mai conclusi, abbandonati a metà strada, ingarbugliati su se stessi, troppo sconvolgenti per i nervi dei loro autori, di sbilenca architettura, ossessionati da cose che non interessano a nessuno, anacronistici, demenziali, avanguardisti all’estremo, diffidenti delle possibilità del romanzo come genere, troppo banali, o troppo poco banali per le esigenze contemporanee”. Quello che il lettore del libro percepisce come un’unita tematica, stilistica, contenutistica in un dato libro in realtà non è che la summa di vari stili, temi e contenuti che l’autore ha cercato di coniugare in una narrazione unica. Ma non solo. Il romanzo, o il libro in generale, non è fatto solo dal suo contenuto, da ciò che è presente, ma anche dal non-contenuto, qualcosa che è assente sulla carta, ma che ha rappresentato stadi intermedi della stesura dell’autore, momenti di stasi o ripensamenti, cambi di stesura, stravolgimenti, rallentamenti, ellissi e quant’altro. Sembra di parlare del nulla, ma in realtà non è così.

Un romanzo lasciato a metà, incompiuto o tralasciato, non è un qualcosa da considerare negativamente, tutt’altro. E’ affascinante – o potrebbe esserlo- indagare il motivo di quella incompiutezza, le ragioni intrinseche che hanno portato l’autore a tralasciarlo e a preferire di scriverne uno completamente diverso. Milioni sono le opere incompiute in ciascuna letteratura, ma anche queste debbono essere tenute in viva considerazione ed è forse lì – come suggerisce lo stesso Julio Monteiro Martins – che il legame tra vita-letteratura, tra l’esperienza dello scrittore in quanto essere umano e il suo impegno in qualità di letterato si mostra in maniera indissolubile.[2]

La storia della letteratura, pertanto, è  –dovrebbe, dato che nei manuali non è così- fatta anche dai libri incompiuti, dai libri perduti e dimenticati, dai libri bruciati al rogo, dai libri censurati, messi a tacere, dai libri persi per una mancata conservazione. Non è fatta solo dai libri presenti nelle nostre biblioteche, disponibili e consultabili, ma anche da tutti quegli esperimenti di scrittura che per qualche motivo non hanno qui nella nostra contemporaneità una consistenza fisica – o digitale se pensiamo agli e-book– o comunque una disponibilità di lettura.

madrelingua – notare la minuscola della lettera iniziale[3] – è un romanzo doppio o, meglio, che sviluppa due storie parallele, quella dell’autore dimadrelingua e quello del suo personaggio principale. Entrambi, ovviamente, sono prodotti di Julio Monteiro Martins ed è necessario entrare da subito, già dall’inizio, nell’ottica di come è strutturato questo romanzo. Manoel Alves dos Santos, detto Mané, parla in terza/prima persona; tra parentesi quadre, invece, ci vengono date informazioni aggiuntive che non riguardano lui ma l’autore di madrelingua. Paradossalmente questi è e non è Julio Monteiro Martins. Lo è in termini semplicistici, pratici, ma non lo è nell’artifizio narrativo, nella strategia di comunicazione che ha deciso di impiegare. Uno stralcio del romanzo per comprendere questo dualismo narrativo è necessario per chiarire quanto si sta appena argomentando:

Sono lo stesso di sempre, nient’altro: Manoel Alves dos Santos, detto Mané, che ha vissuto ormai per sessant’anni [io invece ne avevo solo 46 quando ho scritto questa pagina]. Nato a Niterói [anch’io!],trasferitosi a Firenze [io a Lucca] nel periodo Craxi [nel periodo Dini]. Un bel cambiamento, senz’altro, ma sessant’anni non sono mica pochi, eh. E questa è una lunga storia, vissuta da Icaro e da Sisifo, da Teseo e da Pulcinella [caspita! povero lettore…].

Per facilitare la comprensione si riporta in grassetto la parte che concerne il protagonista del romanzo, Mané, scritta in terza persona e la parte tra parentesi quadre e sottolineata che corrisponde, invece, all’anonimo autore dimadrelingua, una voce che, invece, è in prima persona.

In questa maniera praticamente leggiamo due storie in una, due romanzi in uno e ciascuna storia ha legami e riflette l’altra in modo che l’intera narrativa non è che un carosello ritmato di voci che si scambiano, si confrontano, un dialogo che si instaura tra due “monologhi ravvicinati e comunicanti”.

Continuando nella lettura ci rendiamo conto che tutti gli incisi nelle parentesi quadre non sono altro che i pensieri dello scrittore stesi sulla carta nel momento in cui è alle prese con il suo romanzo. E’ un flusso di coscienza che ci informa su cosa sta pensando l’autore, cosa vorrebbe narrare, come la pensa su certe cose. Si tratta, in effetti, del pensiero stesso dello scrittore nell’atto di elaborare le vicende del suo romanzo, le suggestioni, gli interrogativi che, curiosamente, Julio Monteiro Martins stende sulla carta perché anche quella è una componente del romanzo-prodotto finale. Vediamone un chiaro esempio:

Miranda ha conosciuto Carlo Giuliani a Genova [ho scritto questo brano e subito ho pensato di cancellarlo, perché mi sembrava una forzatura, l’inserzione di un elemento estraneo alla narrativa solo perché volevo parlare di lui. Ma poi ho deciso di lasciarlo comunque: non è del tutto inverosimile che lo avesse conosciuto, magari un po’ più giovane di lei, il giro potrebbe essere più o meno lo stesso, feste nei centri sociali, spettacoli alternativi di musica, cabaret, spiagge… dài, ce lo lascio], circa un anno prima che fosse assassinato dalle ”forze dell’ordine”..

Non mi interessa in questa sede tratteggiare quello che è il contenuto di questo romanzo breve, ma focalizzarmi, invece, su come è stato scritto. E’ affascinante il modo in cui Julio Monteiro Martins riesca a scindersi, a sdoppiarsi e ad essere presente ubiquamente in realtà, tempi ed episodi diversi. Questo, ovviamente, è il potere della scrittura. Non di una scrittura frivola e approssimativa, ma di un amore indissolubile verso la letteratura e verso i procedimenti di scrittura e costruzione della narrativa che stanno molto a cuore a Julio Monteiro Martins. Narrazioni come questa ci fanno viaggiare, tra realtà e immaginazione – sebbene non ci sia niente di fantastico-, ci spaesano un po’, ci disorientano, ma ci affascinano proprio perché l’autore, abile maestro della prosa, gioca con il lettore, richiamando la sua attenzione e coinvolgendolo a pieno nei vari squarci narrativi tanto da depistarci, illuderci, e farci confondere il confine tra realtà e scrittura, tra persona e personaggio:

[P]rima di andarmene, vorrei chiedervi:  – e non occorre che mi rispondiate – è vero o no che alcuni dei vostri migliori amici, o se non altro quelli che vi hanno deluso di meno, sono stati personaggi come me?

 

Chi è l’autore?

Julio Monteiro Martins è nato nel 1955 a Niteroi, nello stato di Rio de Janeiro (Brasile). Si dedica alla scrittura fin da ragazzo e già nel 1976 pubblica i primi racconti. Nel 1979 partecipa allo International Writing Programdella University of Iowa (USA), ricevendo il titolo di Honorary Fellow in Writing, e per un anno insegna scrittura creativa al Goddard College (Vermont, USA). Continua poi l’insegnamento presso la Oficina Literária Afrânio Coutinho (Rio de Janeiro), dal 1982 al 1989, e in seguito in Portogallo, presso l’Instituto Camões di Lisbona (1994) e presso la Pontifícia Universidade Católica do Rio de Janeiro (1995). Dal 1996 insegna all’università di Pisa, dove attualmente tiene il corso di Lingua Portoghese e Traduzione Letteraria. Dirige inoltre il Laboratorio di Narrativa del Master di Scrittura Creativa, presso la Scuola Sagarana di Lucca. È fondatore e direttore della rivista culturale Sagarana (www.sagarana.net).

All’attività di scrittore e docente affianca un impegno attivo in campo politico e sociale. Nel 1983 è uno dei fondatori del del Partido Verde brasiliano, e successivamente, nel 1986, del movimento ambientalista brasiliano “Os verdes”. Nel 1991, avendo affrontato studi universitari di indirizzo giuridico, è avvocato dei diritti umani per il Centro Brasileiro de Defesa dos Direitos da Criança e do Adolescente (ONG), occupandosi in particolare dell’incolumità dei meninos de rua chiamati a testimoniare in tribunale, in seguito all’orrenda strage della Chacina da Candelária, nella quale una squadra di poliziotti in borghese uccise nel sonno a colpi di mitra bambini abbandonati che dormivano in strada a Rio de Janeiro.

La produzione letteraria di Julio Monteiro Martins comprende numerose opere sia in portoghese brasiliano sia in italiano, essendo quest’ultima la lingua attualmente preferita dall’autore. Pur prediligendo la forma narrativa, Monteiro Martins ha pubblicato anche poesie e pièce teatrali. Da alcune sue opere sono state tratte sceneggiature di cortometraggi. Di seguito i principali titoli.

In portoghese: Torpalium (racconti, Ática, São Paulo, 1977), Sabe quem dançou?(racconti, Codecri, Rio, 1978) Artérias e becos (romanzo, Summus, São Paulo, 1978), Bárbara (romanzo, Codecri, Rio, 1979), A oeste de nada (racconti, Civilização Brasileira, Rio, 1981), As forças desarmadas (racconti, Anima, Rio, 1983), O livro das Diretas (saggi politici, Anima, Rio, 1984), Muamba (racconti, Anima, Rio, 1985) e O espaço imaginário (romanzo, Anima, Rio, 1987); suoi lavori sono inoltre apparsi in numerose antologie.

In italiano: Il percorso dell’idea (poesie, Bandecchi e Vivaldi, Pontedera, 1998),Racconti italiani (Besa Editrice, Lecce, 2000), La passione del vuoto (Besa, Lecce, 2003 ), Madrelingua (romanzo, Besa, Lecce, 2005) e L’amore scritto(racconti, Besa, Lecce, 2007); ricordiamo infine la partecipazione, assieme ad Antonio Tabucchi, Bernardo Bertolucci, Dario Fo, Erri de Luca e Gianni Vattimo, all’opera collettiva Non siamo in vendita – voci contro il regime (a cura di Stefania Scateni e Beppe Sebaste, prefazione di Furio Colombo, Arcana Libri / L’Unità, Roma, 2002). Nel 2011 è stata pubblicata la monografia sulla sua operaUn mare così ampio: I racconti-in-romanzo di Julio Monteiro Martins, di Rosanna Morace, per la Libertà edizioni, di Lucca.

Lorenzo Spurio
scrittore, critico-recensionista
Blog Letteratura e Cultura

E’ SEVERAMENTE VIETATO DIFFONDERE E/O PUBBLICARE LA PRESENTE RECENSIONE IN FORMATO INTEGRALE O DI STRALCI SENZA IL PERMESSO DA PARTE DELL’AUTORE.

Come definire questo libro?

Un itinerario fra i giardini nelle varie epoche, attraverso visioni di scrittori diversi?

Un atlante istruttivo e dettagliato d’analisi e concentrati di scrupolose notizie?

Un incanto attraverso tante meravigliose menti che hanno descritto luoghi fatati, paurosi, curiosi, tetri, allegri, bui o pieni di luce?

Questo libro è tutto questo.

la metafora del girdino in letteraturaLa metafora del giardino in letteratura“. Un volume, scritto da due giovani e preparati autori; Lorenzo Spurio e Massimo Acciai, che passo dopo passo, attraverso i loro modi di vedere, ci regalano le loro impressioni in una sorta di commenti ben elaborati ed estremamente delineati da un ottica attenta e critica,  riuscendo a creare veri e propri saggi sull’argomento, saggi che arricchiscono la curiosità nel lettore, proponendo alcune pagine di  testi letterari scritti da autori di opere fantasy e altri testi  scritti da autori di contenuti classici.

Autori come Lewis Carrol, C.S.Lewis, Borges, Dino Buzzati, Anton Cechov ecc..

Sarà un viaggio attraverso i giardini in decadenza, giardini poveri di alberi, di fiori e di verde,giardini sfarzosi e incredibilmente vasti, giardini sterili e di cemento, giardini rigogliosi e prosperi.

Di ogni giardino, ne verrà data visione  attraverso alcuni  passi tratti da romanzi, opere e poesie e analizzata in maniera encomiabile da Spurio e Acciai che identificheranno con precisione e accuratezza,  il simbolismo, l’essenza, il periodo storico, di queste aree verdi dove da sempre sono luogo di amori, nascondigli, estasi, o cupi anfratti, tetre boscaglie o confini per alcuni.

Una lettura che appassiona, che coinvolge e che regala il piacere di saperne di più, perché la metafora del giardino non è altro che la simbiosi fra l’uomo e la natura, la materia e lo spirito, giardini dove, come nell’uomo , si nasconde un dualismo fatto di bene e male, di gioia e peccato.

Vi saranno le descrizioni sugli stili dei vari giardini a secondo delle località e del periodo storico, e quindi riferimenti ai giardini barocchi, inglesi, rinascimentali e non mancheranno  le descrizioni ai giardini paradisiaci come il giardino dell’Eden che nella sua bellezza, nasconde il mistero e  la paura.

Il giardino, che attraverso gli occhi degli autori è sicuramente sinonimo di vita, di germoglio, di percorso, dove a volte vi sono fiori, altre volte recinti, altre ancora fontane; giardini come metafore alla vita e alla sua emozionalità, vite aride come giardini cementati, vite felici come i giardini rigogliosi, esistenze misteriose come i giardini fantastici, bui come l’angoscia, aridi come la solitudine.

Simbolismi e similitudini, in un girotondo di continua morte/vita come lo è la vita di una pianta/fiore o la speranza della vita stessa dopo la morte terrena.

Il giardino emblema di un luogo caro, cercato, costruito e desiderato fin  dall’antichità come scelta dell’uomo nella funzione di oasi di qualcosa oltre la materia, un luogo dove sognare e sperare, ma anche piangere e chiudersi in solitudine.

Un libro che può dare mille risposte, a secondo di cosa un lettore cerca: conoscenza?, curiosità?, riflessione?.

Senza dubbio Lorenzo Spurio e Massimo Acciai, ci aprono una finestra nella visione totale di un pensiero e a tante considerazioni che , forse, senza questo libro, non ci avrebbero  neppure sfiorato!.

Written by Marzia Carocci

Le voci della memoria
di Anna Scarpetta
Ismeca Libri, Bologna, 2012
ISBN: 978-88-8810-039-3
Prezzo: 12 Euro

Recensione a cura di Lorenzo Spurio

La caratteristica principale di questa silloge di poesie di Anna Scarpetta, celebre poetessa di origini napoletane, sta nel fatto che l’origine della gran parte delle sue liriche si collochi nel ricordo del passato, di alcuni momenti comuni e rituali che appartenevano a una sua età passata. Questo ricordo, palpabile pagina dopo pagina, a tratti trasfonde una sensibilità nostalgica e quasi crepuscolare, altre volte, invece, è il motivo d’indagine sociale del presente. La prima poesia raccolta nella silloge, “Le voci della memoria”, quella che dà il nome all’intero libro, ci inserisce subito in questa dimensione: il ricordo è forte e sempre vivo “ad ogni stagione, ogni amaro inverno, sempre” (p. 9). Il ricordo, sembra suggerire la poetessa, ci appartiene sempre, anche quando non ne siamo consapevoli ed è la somma di tutti i ricordi, di quelle pietre preziose, che danno senso al nostro esistere.

AnnaScarpetta“Io sono qui” si configura come una sorta di preghiera laica nella quale Anna Scarpetta sottolinea l’importanza del hic et nunc: sono qui ora, penso, rifletto, mi faccio domande, considero il nulla, vaglio il mistero, sempre consapevole di quella cosa che ogni secondi si autodistrugge, il tempo. E’ questa una presenza costante nelle poesie di Anna Scarpetta: il tempo presiede ed osserva tutto, invisibile e a volte impercettibile e, come la morte –che poi è la fine del tempo-, è un’entità che ci rende umani e tutti uguali: “così tu, alla fine, tempo/ sei uguale per tutti dovunque” (p. 11).

Le liriche della poetessa ci consegnano una poesia vivida e riflessiva, solo a tratti filosofica, di semplice lettura, frutto di un’attenta e continua analisi dell’inconscio di una donna ricca dentro, consapevole del trascorso del tempo e che ha fatto e fa tesoro dei momenti passati, per imprimerli sulla carta. E’ un tentativo, questo, di affrescare la vita anche se – come sostiene lei stessa- “ci vorrebbe un’altra vita/ per capire cos’è la vita” (p. 12).

Anna Scarpetta è una donna che non rifugge il passato, né che ci ha litigato, ma che ci dialoga, lo interroga e lo richiama quasi che esso fosse lì, personificato, davanti ai suoi occhi. E’ un passato fatto di gioie e dolori, come quello di ognuno di noi ma che in più punti appare come una grande mamma che accoglie, riscalda, protegge con la sua “calda memoria” (p. 14).

Un interessante omaggio e lode al nostro paese è contenuto in “Italia bella patria” dove si fa riferimento alla grandezza del popolo italiano e dei suoi uomini illustri. Il canto dell’inno è –forse- il momento in cui l’Italia si riscopre fiera della sua italianità; per la Scarpetta l’Italia è “bella e sospirosa” (p. 18), segno forse che c’è qualcosa negli italiani che provoca disinteresse, tormento, affanno e credo non sia errato leggere in questa caratterizzazione un riferimento alla presente crisi economica, causa di tanti disagi sociali. E’ infatti forte il tema sociale in “Soffrono i bambini del mondo”, un canto accorato dai toni cupi e mesti che parla di bambini orfani, soli, non amati, abbandonati, affamati, che la poetessa affida nelle mani della Madre: “avvolgi e consola” (p. 21). Nella figura della Madre va vista la Vergine, la nostra madre celeste ma anche la Madre Terra, la divinità precristiana che si identificava con la Terra e ogni manifestazione attiva nella natura.

Scorrendo da una poesia all’altra la poetessa mantiene un dialogo continuo con il dio Chronos “con il suo sguardo regale di marmo” (p. 23)

La Scarpetta è una donna che dà tutto alla poesia e che, al tempo stesso, da essa riceve tutto. La poesia è fonte di conoscenza del mondo e di noi stessi, dà senso alle cose ma sa anche “lenire in silenzio e quietare il dolore/ di chi si accusa con colpa e patisce” (p. 24).

Nella bellissima poesia “Chi siamo noi” la poetessa risponde che siamo dei sognatori, dei lavoratori, delle anime sensibili. Siamo ammassi di memorie, eredi del passato, viaggiatori.

In “Verranno tempi migliori” si respira, forse, l’atmosfera più ottimista e speranzosa dell’intera silloge: la poetessa intravede tempi più felici e prosperi per tutti che saranno capaci di soprassedere alle logiche materialistiche e personalistiche dell’oggi (narcisismo, consumismo) attraverso la fede, unica vera arma di salvezza. In “Il tempo  è di Dio”, Anna Scarpetta ci ricorda che il tempo non è nostro ma che “è innanzitutto di Dio” (p. 32) e che ci è dato sotto forma di un regalo. C’è l’implicito avvertimento a non sprecarlo, a dargli il giusto valore e a utilizzarlo bene. Rallentamenti, ellissi, retrospezioni, acceleramenti sono segni dell’utilizzo umano del tempo mentre il Signore ce lo ha affidato come una materia bianca, compatta e unica.

La poetessa è talmente coraggiosa di prevedere anche uno scenario futuro che la riguarderà nella poesia “Quando vacillerà la mia memoria”: quando la memoria verrà meno – e con essa tutti i vari ricordi- allora non sarò niente ed avrò perso tutto; in un’altra poesia osserva “voglio ricordare tutto, senza azzerare mai nulla”.

Degna di nota la poesia che Anna Scarpetta dedica ad Anna Frank, la povera ragazza olandese nascostasi con la sua famiglia nell’appartamento di Prinsengracht  ad Amsterdam per vari mesi prima di essere scoperta e mandata in un lager. Con un ricco complesso aggettivale, la Scarpetta ripercorre i vari momenti dell’esistenza della ragazza, dalla giovinezza spensierata e felice mai avuta che, in altri contesti, le avrebbe di sicuro consentito di sviluppare una vita di soddisfazioni e di gioie terrene.

Grazie ad Anna Scarpetta per questo bellissimo percorso che ci fa fare. La sua scrittura ha un leggero andamento narrativo, quasi che il verso le stia un po’ stretto per raccontarsi. E’, infatti, una donna che ha tanto da narrare e da donare – tramite la scrittura – agli altri.

Chi è l’autrice?

Anna Scarpetta è nata nel 1948 a Pozzuoli (Na). Si è poi diplomata Perito ragioniere a Napoli, dove ha vissuto molti anni e dove ha studiato presso la Scuola di recitazione e spettacolo di Napoli. Ha lavorato a Milano presso la Rete Ferroviaria Italiana ed attualmente risiede a Novara. Si è sempre dedicata alla poesia, narrativa e saggistica. Ha collaborato con numerose e prestigiose riviste culturali, è stata presidente onorario per la Città di Napoli del MOPEITA (Movimento per la diffusione della poesia in Italia), è membro Honoris Causa a Vitae del Centro divulgazione Arte e Poesia; ha ottenuto numerosi riconoscimenti e prestigiosi premi in molti concorsi letterari. E’ presente in numerose Antologie di poesia contemporanea e ha già pubblicato Poesia (liriche, Ed. Gabrieli, 1985), Frantumi di tempo (poesie, Ed. Lo Faro, 1991), L’altra dimensione della vita (poesie, Ed. Libroitaliano World, 2004).

A cura di Lorenzo Spurio

E’ SEVERAMENTE VIETATO RIPRODURRE E/O DIFFONDERE LA PRESENTE RECENSIONE IN FORMA INTEGRALE O DI STRALCI SENZA IL PERMESSO DA PARTE DELL’AUTORE.